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Cosa vuol dire sostenibile? Siamo sicuri di essere allineati sul suo significato? 

Perché sostenibile si presta a una forte ambiguità semantica. 

Soprattutto in Italia dove il termine “sustainable” viene erroneamente tradotto con “sostenibile”, ossia “tollerabile” o “sopportabile”.

Si tratta di uno shift di senso che ingarbuglia non solo il nostro linguaggio, ma anche le azioni che ne dovrebbero derivare. 

Tollerabile, sopportabile, accettabile, presuppone infatti un “qualcosa di migliore” a cui in qualche modo occorre rinunciare. La reductio a uno stadio minoritario: accettabile obtorto collo

Come una sorta di negoziazione al ribasso, in cui metto in conto di perderci qualcosa.

Che ti fa dire “ok se proprio devo, lo faccio, ma malvolentieri”. 

Questa patina di negatività che avvolge la parola sostenibilità credo stia prevalendo sul piano simbolico e emotivo tanto da spingere anche illustri uomini di governo a presupporre la  transizione ecologica come “un bagno di sangue”. 

Ovviamente per noi dei Paesi “sviluppati” del mondo.

Perché a quelli che nel bagno di sangue ci vivono da sempre, basterebbe una piccola frazione del nostro agio per vivere in un bagno di sollievo. Ma questa è un’altra storia. 

Sostenibile vuol dire durevole

Torniamo al problema semantico della parola sostenibilità e torniamo al termine inglese “sustainable”. 

Se consultiamo il Cambridge Dictionary (ma anche l’Oxford Dictionary) il concetto che salta fuori è la “durabilità”.

Sustainable come vedete è intimamente legato al concetto di durare nel tempo. 

Non a caso infatti, in inglese, “Sustain” è il pedale del pianoforte, che prolunga la risonanza delle note. O più generalmente la capacità di uno strumento di prolungare il suono nel tempo.

Sostenibile vuol dire futuro

Pertanto, il presupposto della sostenibilità, sia in ecologia che in economia, è la capacità di adottare un’ottica di lungo periodo, che tenga conto dei diritti delle prossime generazioni e quindi delle conseguenze future delle nostre azioni. 

E qui forse non guasta richiamare la prima definizione di Sviluppo sostenibile contenuta nel Rapporto Brundtland pubblicato nel 1987 dalla Commissione mondiale sull’ambiente e lo sviluppo (WCED).

«lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri»

(WCED,1987)

In questa prospettiva il nostro sviluppo, almeno così come lo abbiamo interpretato finora, è tutt’altro che sostenibile.

E non solo dal punto di vista ambientale, ma anche su quello economico, sociale e istituzionale, come ci insegna l’Agenda Onu per lo Sviluppo Sostenibile: ultima grande narrazione per il futuro dell’Homo sapiens.

Quindi mettiamocelo nella testa: Sostenibile vuol dire durevole.

Il che è molto diverso da sopportabile o accettabile, vero?  

Nel primo caso ci apriamo al mondo futuro e al contributo che possiamo dare per la sua durabilità.

Nel secondo ci chiudiamo nei piccoli rancori che scaglieremo sul mondo, per difendere il nostro personale piccolo mondo: i confini del nostro giardino. 

L’alternativa si impone. 

Tra, piccoli esseri senza rotta evolutiva e schiacciati sul presente.

Oppure partigiani impegnati a cambiare la prospettiva del mondo. Per essere ricordati come coloro che contribuirono a creare il buon governo del mondo.

Coloro che fecero la “Transizione ecologica” che, come ci fa notare Stefano Bartezzaghi, ha tra i suoi anagrammi “Sognatori eccezionali”.

Allegoria del buon governo di Ambrogio Lorenzetti (1338 – 1339)

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