Le Comunità energetiche sono pronte a partire ma mancano i decreti attuativi
Non solo benefici economici, ma anche sociali e ambientali.
Sono le comunità energetiche, uno strumento che arriva dall’Unione europea e che presto diventeranno realtà anche nel nostro Paese, offrendo la possibilità a cittadini, piccole medie imprese e enti locali di diventare allo stesso tempo consumatori e produttori di energia.
Un cambio di paradigma che coinvolgerà tutti gli aspetti della produzione e distribuzione dell’energia.
A poche grandi centrali elettriche si sostituiranno piccole e diffuse realtà produttrici. Alla diffusione Top to bottom si sostituisce uno scambio che va sia dal basso verso l’altro che viceversa, perché i consumatori diventano anche produttori, i cosiddetti prosumers (neologismo inglese che nasce dall’unione di producer e consumer), che partecipano attivamente e consapevolmente al sistema.
“L’obiettivo principale delle comunità energetiche”, racconta Gianluca Ruggieri, ricercatore dell’Università dell’Insubria e co-fondatore di Ènostra coop, “è fornire benefici ambientali, economici e sociali a livello di comunità, partendo da un’aggregazione volontaria dei partecipanti, che non hanno il profitto come prima finalità”.
“Un modello”, continua Ruggieri, “che potrà portare a coprire il 40-50% del fabbisogno energetico”.
Una percentuale non trascurabile considerato che per luce e gas, gli aumenti medi stimati rispetto al 2019 sono del 600%.
Le stime parlano di 264 milioni di cittadini che in Europa entro il 2050 potrebbero diventare produttori di energia. Da chi produce solo per sé o autoconsumatori, a chi produce aggregandosi ad esempio, ai propri condomini, gli autoconsumatori collettvi. Fino ad arrivare alle vere e proprie comunità energetiche rinnovabili, che mettono insieme diversi soggetti produttori-consumatori anche in aree più grandi.
Il progetto GECO
In Italia tra i progetti più ambiziosi, in questo senso, c’è il progetto GECO (Green Energy Community), una “comunità territoriale ed energetica, che affronta le sfide ambientali secondo i principi dell’equità e della solidarietà”.
Si trova a Bologna, al Pilastro e mette insieme oltre 5mila persone. Oltre a piccole realtà territoriali, in mezzo c’è anche il Centro agro alimentare di Bologna, il CAAB, che con 120mila metri quadrati di pannelli solari è considerato il parco fotovoltaico più grande d’Europa.
Al momento però il progetto è in stand-by, perché oltre ai decreti attuativi che devono arrivare dal governo, c’è anche un problema legato alla cabina. Le nuove norme prevedono infatti che bisogna essere attaccati tutti alla stessa cabina primaria.
I decreti attuativi che mancano
“Girando per i territori, mi sono resa conto che il tessuto sociale è pronto”, ci racconta Valeria Termini, professoressa ordinaria di economia politica e titolare della cattedra di “Economia e regolazione dei mercati dell’energia per uno sviluppo sostenibile” nella Università di RomaTre, “Bisogna che il governo nazionale se ne faccia carico, lo assuma come priorità di ampio respiro, Al di là dell’emergenza.”
E la pensano allo stesso modo anche le sigle ambientaliste come Legambiente, che con la Rete delle Comunità energetiche solidali, Kyoto Club, Free, Next ha fatto un sit-in qualche giorno fa davanti al Ministero per l’Ambiente “per dire “stop ai ritardi e agli ostacoli che frenano lo sviluppo delle comunità energetiche rinnovabili in Italia”.
Allo stato attuale infatti, come ricordano i manifestanti, “su 100 comunità energetiche mappate fino a giugno 2022 appena 16 sono riuscite a completare l’iter di attivazione presso il Gse (Gestore dei servizi energetici) e di queste solo tre hanno ricevuto i primi incentivi statali”
Intanto il ministro Gilberto Pichetto, ha fatto sapere che al suo rientro dalla Cop27 “ fornirà un quadro normativo completo e definitivo sulle Cer”.
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