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Come cambierà la mia cena? Intervista a Luca Cesari

Si può parlare di innovazione anche in ambito gastronomico? Quello che consideriamo tradizionale è sempre stato tale? Come cambierà il nostro modo di mangiare nei prossimi anni?

Sono alcune delle domande a cui si cercherà di dare una risposta durante il secondo Change Makers Lab – Warm up, lunedì 4 dicembre alle 17.30 presso la Fondazione Ivano Barberini di Bologna, a cui parteciperanno Stessa Terra, startup cooperativa di ambito agroalimentare e uno dei progetti vincitori della scorsa edizione di Coopstartup Change Makers, Matteo Vignoli, professore universitario e founder del Future Food Institute e Luca Cesari, divulgatore, storico dell’alimentazione e autore di diversi libri in ambito enogastronomico (Storia della pasta in dieci piatti, 2021; Storia della pizza, 2023).

Ecco che cosa ci ha raccontato.

Quando si parla di cucina, quella italiana rappresenta la tradizione per eccellenza. Ma quand’è che la tradizione diventa innovazione?

Partiamo da un presupposto: la tradizione è in costante evoluzione. Solo le opere materiali che siamo abituati a considerare dei simboli non mutano – anche se nemmeno questo è del tutto vero visto che i colori della stessa bandiera italiana sono cambiati –; mentre le tradizioni applicate ad altri tipi di settore culturale, tra cui rientra anche la cucina, sono soggette al passare del tempo.

Puoi farmi un esempio concreto?

Certo. Prendiamo i tortellini, un piatto che esiste da tempo immemore. Noi siamo portati a pensare che, essendo una ricetta della tradizione bolognese, si siano sempre fatti così, ma in realtà non c’è niente di più sbagliato. Nello specifico, i primi tortellini venivano chiusi diversamente e avevano un ripieno anch’esso diverso: non c’era il maiale – oggi alla base della farcitura – e l’interno era composto da carni provenienti da animali da cortile, i più comuni fino alla prima metà dell’800 (momento in cui verrà inserita la carne di suino all’interno della ricetta).  

Questa percezione falsata vale anche per come siamo soliti vedere in generale il ruolo della cucina italiana nel mondo?

Assolutamente. Noi siamo portati a pensare che la cucina italiana sia sempre stata un punto di riferimento ed eccellenza ma, anche qui, andando a ritroso ci accorgiamo di quanto questa sia una visione parziale. Anzi, è noto che in Italia si mangiasse malissimo nella prima metà 800 a tal punto che quando arrivavano visitatori stranieri – come tedeschi, inglesi, francesi – cercavano degli alloggi in cui proponessero il loro tipo di cucina e non quella italiana. Nessuno si sarebbe sognato di mettere piede in una trattoria romana frequentata da locali e se c’era necessità di fermarsi per molto tempo in Italia, ci si attrezzava con dei cuochi che potessero proporre la loro cucina, addirittura facendosi mandare i “pacchi da su” con i loro prodotti tipici.

Poi però a un certo punto qualcosa è cambiato…

Sì, questa è la vera grande rivoluzione italiana: siamo passati dall’essere un Paese in cui si mangiava male al Paese in cui oggi si fa gastroturismo. Questo è successo più o meno in un secolo grazie alla capacità di elevare la nostra cucina nazionale che però è fatta anche moltissimo di influenze straniere. Per fare un esempio emblematico, anche la stessa dieta mediterranea che oggi celebriamo come un nostro baluardo in realtà ha poco a che fare con l’Italia.

In che senso?

La storia della dieta mediterranea viene ricondotta agli studi condottidaAncel Keys, un biologo americano interessato al rapporto tra le quantità di colesterolo nel sangue e le malattie cardiovascolari. Per approfondire i suoi studi, Keys aveva deciso di trascorrere del tempo in cinque Paesi diversi tra cui l’Italia. Qui, si era trasferito a Pioppi dove aveva realizzato che gli anziani del posto godevano di ottima salute e non morivano mai di infarto. E proprio a partire da queste considerazioni è poi nata la popolarità della dieta mediterranea. L’elemento che però manca all’appello è il fatto che quello che Keys considerava la summa dell’alimentazione del nostro Paese, in realtà non era altro che il frutto delle conseguenze di una grave carestia da cui l’Italia era afflitta.

Ma quindi stiamo dicendo che la tradizione in realtà non esiste?

No, latradizione esiste, è fortissima, lotta e vive con noi. Il fatto è che la tradizione cambia. Per esempio, il ragù secondo Artusi è con la panna, senza pomodoro. E per un buon periodo di tempo quella è stata la ricetta da seguire. Poi c’è stato un momento in cui il latte e la panna sono stati esclusi quasi totalmente dalle nostre cucine, se non nel settore dolciario e del dessert. Oggi, infatti, il ragù è rosso e tendenzialmente senza panna. Ma non sentiamo nostalgia di quello dell’Artusi. È la tradizione che si è evoluta.

Abbiamo mai parlato di passato ma se guardassimo al futuro, secondo te quali sono le principali innovazioni in ambito food? Cosa ci dobbiamo aspettare per i prossimi anni?

Sicuramente, quando si fanno delle proiezioni si ragiona per trend e alcuni stanno prendendo senza dubbio piede. Ad esempio il fatto che la cucina sia diventata e stia diventando sempre più veloce. Quello che si cucina, soprattutto a casa, a volte anche nei ristoranti, tende costantemente a preparazioni più rapide. Questa è una cosa che nasce già nei primi del Novecento, ma che ha subito una rapida e continua accelerazione di cui uno sprint significativo è stato dato anche dalla pandemia del 2020. Basti pensare che una volta ci portavano a casa solo la pizza, oggi il tempo è sempre meno e siamo inclini a ordinare a domicilio qualsiasi tipo di preparazione.

E nel concreto quali effetti produrrà questa accelerazione?

Io credo che alcune ricette a cui oggi siamo molto affezionati scompariranno o comunque saranno sempre più rare. Per dirne una, non sono così certo che tra 50 anni saranno in molti a mangiare ancora le lasagne alla bolognese perché è una ricetta che richiede molte preparazioni, tutte molto lunghe. È possibile che questi residui dell’800 finiranno per essere relegati a una parte molto piccola della nostra gastronomia. Quindi, tra un centinaio d’anni probabilmente verrà sostituito quello che oggi è il ventaglio tradizionale delle nostre ricette, ma non ce ne avremo a male perché ne avremo di nuove.

Un’ultima domanda: abbiamo sentito tutti parlare di nuovi alimenti come farina di grillo e carne vegetale. Ecco, rispetto a queste novità in ambito culinario, come cambieranno le nostre abitudini alimentari?

Allora, una cosa la carne vegetale, un’altra è la carne coltivata. La prima, cioè quella di origine plant-base ha già un discreto successo. La carne coltivata invece è ancora allo stato embrionale ed è molto difficile sapere che cosa succederà. Ci sono degli enormi problemi dal punto di vista tecnologico da superare, ma se venissero risolti non c’è dubbio che sostituirebbe almeno in parte la carne origine animale. Mentre i dubbi sulla farina di grillo sono meramente ideologici. In oriente è del tutto normale mangiare gli insetti, siamo noi che non siamo abituati a farlo perché non li vediamo come cibo, ma anche questa percezione sicuramente subirà un cambiamento. In ogni caso, quando si parla di futuro è molto difficile fare delle previsioni e prenderci. Tra 100 anni ci telefoneremo e vedremo a che punto siamo arrivati.

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