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Come cambiare con meno stress

Martedì 21 novembre alle 17.30 presso la Fondazione Ivano Barberini inaugurano ufficialmente i Change Makers Lab “Warm Up”, tre serate dedicate a chi vuole avere un impatto positivo nella realtà in cui vive, generando cambiamento. Tre serate in cui lasciarsi ispirare da esperti e change makers e dove cercare nuove chiavi di lettura con cui interpretare la realtà.

Nella prima serata, intitolata Cambiare con meno stress si parlerà di education, ICC e innovazione attraverso le esperienze di Bangherang, startup cooperativa di tipo socioeducativo nonché uno dei progetti vincitori della scorsa edizione di Coopstartup Change Makers; La Merenda Podcast progetto editoriale incentrato sulle storie e le voci imprenditoriali in ambito creativo e Francesco D’Onghia, responsabile Open Innovation Unit di Almacube, che abbiamo incontrato per fare due chiacchiere sul mondo delle startup, sul ruolo delle soft skills e molto altro

Partiamo da Almacube. Quand’è nata e cosa fa?

Almacube è nata nel 1999 all’interno dell’Università di Bologna. È uno dei primi incubatori universitari, nato con l’obiettivo di supportare le idee imprenditoriali di studenti, ricercatori e professori.
Supportarli, significa aiutarli ad andare nel mercato, nel passare dall’idea alla start up e quindi a diventare impresa.
E poi nel 2013 c’è stato un primo grande cambiamento con l’ingresso di Confindustria come socio al 50%. Da lì Almacube si è configurata come un’interfaccia tra mondo dell’università e mondo dell’impresa, continuando ad essere un incubatore, ma non più solo per l’Università di Bologna, ma anche per le idee che nascono in ambito territoriale.

Nel 2018, quando sono entrato io, è nata anche una seconda unit che si occupa di open innovation. Oggi Almacube conta circa 25 persone di staff fisso ed è una realtà sempre più importante a livello anche nazionale.

Come valuti l’ecosistema italiano delle startup? L’Italia ha recuperato terreno?

I dati ci dicono che l’Italia per quanto riguarda la cultura imprenditoriale è ancora indietro. Sia per quanto riguarda la capacità di generare nuove imprese ma soprattutto per farle crescere. Uno dei ruoli degli incubatori come Almacube, nonché una delle missioni che si è data e su cui sta lavorando molto è cercare di creare cultura anche nel tessuto imprenditoriale esistente. Quello che facciamo è far capire a quelle imprese che sono oggi parte del tessuto imprenditoriale, è che possono trovare valore nel collaborare anche con una start up appena nata.
Che insomma ci sia fiducia verso i giovani che fanno impresa. E devo dire che vedo sempre più negli ultimi anni delle imprese storiche che guardano alle start up, trovando in esse valore, preziose collaborazione e ovviamente tanta energia.

Dal lato delle start up, questo vuol dire trovare dei clienti, e riuscire ad andare sul mercato oltre che avere l’opportunità di lavorare con le grandi imprese, quindi a fare curriculum e quindi poi ad essere anche più credibili a livello internazionale.
Ed è un aspetto importante che in Italia, dalla mia esperienza, prima non c’era, e che sta cambiando molto.

Vedi una specificità italiana nel modo di intendere un percorso d’impresa?

Sì. Una cosa che ha forse a che fare con la cultura italiana è che non c’è quella ricerca quasi ossessiva di moltiplicare il valore dell’impresa per vendere il prima possibile e per moltiplicare i propri guadagni.

La maggior parte delle volte gli startupper italiano sono spinti dalla motivazione di potersi mettere in proprio e non hanno il sogno di crescere a dismisura e di andare a esportare cose in Cina. Vogliono farsi la loro azienda, vivere tranquilli e non lavorare giorno e notte.
Non so quanto sia giusto o sbagliato, però sicuramente questo contribuisce a non avere quel tipo di mentalità del modello Silicon Valley, per fare un esempio.

Martedì 21 novembre alla Fondazione Barberini, parteciperai al Change Makers Lab dal titolo “Cambiare con meno stress”, dove si parlerà, tra le altre cose, di come affrontare il cambiamento.

C’è un tema legato alle competenze necessarie per affrontare il cambiamento. Se prima erano considerate fondamentali quasi esclusivamente le competenze di tipo tecnico, acquisite con la laurea e che duravano se non per tutta la vita, almeno per 10-15 anni oggi, quelle competenze non bastano più.
Oggi le competenze più importanti sono quelle più personali, le cosiddette soft skills, la curiosità, la capacità di adattarsi, l’empatia, la collaborazione. Credo che la chiave sia lì, dare le competenze alle persone per essere più pronti al cambiamento piuttosto che fare come in passato, dove l’unico obiettivo era quello di preparare per un lavoro verticale che poi spesso è difficile da trovare.

Parliamo di soft skills

Da una parte ci sono le competenze di tipo sociale, che hanno a che fare con la relazione con gli altri. Quindi collaborazione, empatia, intelligenza emotiva e comunicazione. Tutta una serie di aspetti che ci fanno lavorare meglio con gli altri e rapportare meglio con gli altri.
Poi ci sono una serie di competenze trasversali che hanno a che fare più con il saper essere, gestire se stessi e le capacità personali.
Come la curiosità, che per me è fondamentale, quella cosa che ci permette di guardare al futuro con entusiasmo e non con paura. La proattività, la consapevolezza di se stessi, il senso del possibile, l’intraprendenza, l’ottimismo, il pensare di potercela fare.

Sono competenze più stabili e durature nel tempo, rispetto alle competenze tecniche, e che ti permettono di adattarti ai nuovi lavori, alle nuove tecnologie, alle nuove sfide quotidiane.

Si può davvero imparare una cosa come l’empatia?

La cattiva notizia è che queste competenze sono lente e difficili da imparare, non è come imparare una poesia, perché hanno a che fare veramente con qualcosa di profondo, attitudinale e comportamentale. La buona notizia è che sono in realtà delle caratteristiche dell’essere umano. Noi nasciamo con queste capacità di comunicare, con la curiosità, con la creatività, con l’empatia. Sono elementi umani. Quindi significa che più che impararle da zero vanno allenate, esattamente come alleniamo i nostri muscoli. Se non le alleni le perdi, se li alleni bene ti sono sempre utili e ti fanno restare in forma.

Come si fanno ad allenare?

Con la consapevolezza e l’intenzionalità. Se tu non sei consapevole che essere in forma ti fa bene al fisico e alla mente non ci vai ad allenarti.
Con le soft skills è la stessa cosa.
Oggi secondo me c’è poca consapevolezza che queste competenze siano importanti. Sul lavoro, a casa, con i figli, con la famiglia, con gli amici e tutto il resto. C’è poca consapevolezza perché non se ne parla da nessuna parte. Non se ne parla a scuola, quando formiamo la nostra conoscenza del mondo e di noi stessi, non se ne parla in tv, non se ne parla da nessuna parte.
Una delle cose da fare è quindi renderlo strutturale all’interno del sistema scolastico, dalla scuola primaria all’università.

Quale consiglio daresti a chi ha intenzione di creare una start up?

Ce ne sarebbero tanti, ma per essere sintetici dire stare sul fare. Questo perché vedo spesso nelle persone che si affacciano a questo mondo restare per troppo tempo nel dominio della teoria delle idee.
Hanno le loro bellissime slides e pensano che prima di farlo dovranno trovare dei soldi, dovranno convincere qualcuno a finanziarli oppure cercare dei bandi.
Però finché le cose rimangono dei concetti teorici su delle slide non puoi capire a fondo quello di cui parli.
Quindi una cosa fondamentale per me è sbagliare ed essere in grado di cambiare velocemente anche le tue idee.

E qui rientrano in gioco le soft skills

Esattamente. Lo spirito di adattamento e la proattività di cui si parlava prima. Significa che devi agire sul mondo il prima possibile e sbagliare anche il prima possibile. Quell’attitudine verso l’azione è fondamentale.
Anche questo è secondo me un’attitudine data un po’ dal nostro sistema scolastico. Siamo abituati a rimanere troppo cerebrali, piuttosto che a scaricare a terra le cose.

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