Meno investimenti, stipendi più bassi e minor crescita. Ecco la fotografia dell’Italia nell’ultimo rapporto Ocse
Avere una laurea garantisce un impiego con una migliore retribuzione.
È un’affermazione che è vera nella maggior parte dei 38 paesi OCSE, ma che è un po’ meno vera in Italia.
Ce lo dice l’ultimo rapporto “OCSE Education at a Glance 2022” presentato da Save the Children e Fondazione Agnelli, in cui si legge che nei paesi OCSE in media un laureato nell’arco della vita lavorativa (25-64 anni) guadagna il doppio di chi non ha un titolo di istruzione secondaria superiore mentre in Italia questo vantaggio è meno cospicuo: 76% in più.
In Italia i livelli di istruzione crescono più lentamente
Ma quello della migliore retribuzione non l’unica voce in cui l’Italia è sotto la media OCSE, tra il 2000 e il 2021 i livelli di istruzione in Italia sono cresciuti più lentamente: la quota di giovani fra i 25 e i 34 anni con un titolo di istruzione universitaria segna in Italia un +18% (dal 10% nel 2000 al 28% nel 2021) rispetto a una +21% di media. L’Italia resta uno dei 12 paesi OCSE in cui la laurea non è ancora il titolo di studio più diffuso in questa fascia di età.
In Italia il gap con gli altri Paesi parte dal PIL
Non è difficile mettere in relazione la crescita più lenta con un minore investimento che l’Italia mette in campo rispetto all’istruzione.
Se nel 2019 i Paesi dell’OCSE hanno speso in media il 4,9% del loro PIL per gli istituti di istruzione dal livello primario a quello terziario. In Italia, la quota corrispondente è stata pari al 3,8%. Tra il 2008 e il 2019, la spesa per gli istituti di istruzione intesa come quota del PIL è diminuita di 0,1 punti percentuali.
In Italia, la spesa pubblica per l’istruzione da primaria a terziaria è stata pari al 7,4% della spesa pubblica totale, un valore inferiore alla media dell’OCSE (10,6%).
Anche l’indicatore della spesa per ogni studente universitario ci racconta di un Paese ancora indietro: 12mila dollari contro una media OCSE di oltre 17.500
Gli insegnanti italiani guadagnano meno
Quella dell’insegnante in Italia è un professione poco attraente: le retribuzioni sono più basse e più statiche. Le retribuzioni medie dei paesi OCSE vanno dai 42mila dollari del livello pre-primario a più di 53.500 della secondaria di II grado, mentre in Italia si collocano a livelli inferiori, rispettivamente a 40mila e 46mila dollari. Anche le dinamiche nel tempo impressionano: dal 2015 al 2021 la retribuzione media OCSE di un insegnante di scuola secondaria di I grado è aumentata del 6%, ma in Italia l’incremento è stato inferiore, solo dell’1%. Interessante, infine, il confronto nei diversi paesi fra la retribuzione degli insegnanti e quella degli altri laureati. Nel 2021 in Italia un docente di secondaria di I grado ha guadagnato il 27% in meno di un lavoratore full-time laureato (media UE, -11%).
NEET
E poi ci sono i Neet, i giovani adulti che non hanno un lavoro, né seguono un percorso scolastico o formativo. Dopo essere aumentata fino al 31,7% durante la pandemia da COVID-19 nel 2020, la quota di Neet di età compresa tra 25 e 29 anni in Italia ha continuato ad aumentare fino al 34,6% nel 2021. Tale quota è diminuita tra il 2019 e il 2020 dal 28,5% al 27,4% ed è aumentata fino al 30,1% nel 2021 per i giovani di età compresa tra 20 e 24 anni.
La percentuale di NEET varia a seconda del genere: è più alta tra le giovani donne rispetto ai loro coetanei maschi in molti Paesi dell’OCSE. In Italia, il divario di genere è relativamente basso tra i giovani di età compresa tra 15 e 19 anni (12,3% per le donne e 12,7% per gli uomini) e quelli di età compresa tra 20 e 24 anni (30,5% per le donne e 29,7% per gli uomini), ma si amplia per la fascia d’età 25-29, in cui il 39,2% delle donne e il 30,3% degli uomini sono NEET.
Gender gap
In quasi tutti i Paesi dell’OCSE le donne costituiscono la maggioranza dei neodiplomati dell’istruzione secondaria superiore a indirizzo liceale. In Italia, la quota è del 61% (la media dell’OCSE è pari al 55%). Gli uomini sono invece sovra rappresentati tra i neodiplomati dei programmi secondari superiori a indirizzo tecnico-professionale nella maggior parte dei Paesi dell’OCSE, come nel caso dell’Italia, dove costituiscono il 61% di tutti i neodiplomati dell’istruzione secondaria superiore a indirizzo tecnico-professionale: un dato superiore alla media dell’OCSE (55%).
Un altro dato interessante è quello che fotografa come, la nota relazione positiva fra titolo di studio e livelli di occupazione sia particolarmente forte per le donne. Nel 2021 in Italia solo il 31% delle donne in possesso di un titolo d’istruzione inferiore al diploma di scuola superiore erano occupate (media UE, 40%) mentre fra le donne laureate il tasso di occupazione era del 70% (media UE, 83%). Per gli uomini, invece, le differenze sono assai meno marcate: si va dal 64% per chi ha un livello d’istruzione inferiore al diploma secondario (media UE, 66%) al 71% per i maschi laureati (media UE, 88%). Un’altra declinazione del gender gap compare nell’istruzione universitaria, laddove si segnala che in Italia, come del resto in tutti gli altri paesi OCSE, i tempi di completamento dei percorsi di laurea sono più rapidi per le donne. Nel nostro Paese il 56% delle studentesse consegue la laurea triennale entro tre anni dalla fine dei corsi, mentre questo riesce soltanto al 50% dei loro colleghi maschi.
Italia sopra la media nella fascia 3-5
In mezzo a tanti segni meno, spicca un dato positivo, l’Italia è nelle prime posizioni nei bimbi fra i 3 e i 5 anni che frequentano la scuola dell’infanzia (92%), un dato che colloca il nostro Paese al di sopra della media OCSE, anche se bisogna ricordare che il monte ore di insegnamento dell’Italia è inferiore alla media europea (rispettivamente 945 e 1071 ore), con una minore offerta oraria nelle regioni meridionali. Nei successivi gradi di istruzione il monte ore (744 alla primaria, 608 alle medie e 608 alle superiori) risulta comunque di poco sotto la media UE (rispettivamente 740, 659 e 642), anche se sono presenti in Italia forti disuguaglianze territoriali nell’offerta di tempo pieno nei gradi inferiori, con le regioni del sud in netto svantaggio rispetto a quelle del nord.
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