Si è conclusa la Cop27. C’è l’accordo sul fondo per le perdite e i danni ma manca quello sull’uscita dal fossile
È terminata anche la ventisettesima Conferenza delle Parti (COP) della convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC). Questo il nome completo del vertice internazionale più importante sulle questioni relative al cambiamento climatico.
Difficile comprendere la COP per chi non ha avuto occasione di partecipare ad almeno uno di questi incontri. Due settimane nelle quali, da un lato, i delegati dei 193 paesi (le Parti) si confrontano e scontrano per arrivare ad un accordo sui progressi nella diplomazia climatica e, dall’altro, migliaia di professioniste/i che lavorano per favorire l’azione climatica si ritrovano, cercando di fare fronte comune, unendo le risorse di ciascuno.
Sharm El-Sheikh non era un luogo semplice per ospitare una COP. Sono state molte le critiche – più che giustificate – sulla scelta di organizzare un momento di confronto così importante in un Paese così controverso e complesso. Ma forse, è propria questa sensazione di difficoltà che ha permesso ai partecipanti – oltre 45 mila quest’anno – di unirsi, quasi come una grande famiglia. Le paure e quel senso di angoscia generati da paesaggi surreali sempre sorvegliatissimi e i timori, fino alle ultime ore, di avere un risultato fallimentare, hanno generato profonda empatia. Infatti, quello che porto a casa è sia un successo professionale che umano.
Veniamo al risultato finale di questa COP. Un risultato importante per la solidarietà internazionale, ma ancora insufficiente per affrontare in modo adeguato la causa primaria del riscaldamento climatico, l’uscita dall’utilizzo dei combustibili fossili.
Una COP africana
Fin dai primi giorni della COP27 era chiaro che le voci più forti erano quelle dei paesi africani e più in generale, i paesi in via di sviluppo. Accorati appelli da parte dei Leader di questi paesi, affinché non debbano essere sempre gli ultimi a pagare le conseguenze e gli impatti del cambiamento climatico. Una richiesta di aiuto che non è rimasta inascoltata, infatti, da Sharm El-Sheikh arriva un risultato mai raggiunto prima: l’accordo su un fondo per le perdite e i danni. Chi e come avrà accesso a questo fondo non è stato però definito. Sarà necessario aspettare ancora, per definire un sistema che garantisca l’arrivo di flussi finanziari ai paesi più vulnerabili.
Alla COP si parla di soldi, tanti soldi
Le risorse necessarie per affrontare la sfida climatica sono ingenti. Spesso però non si considera il costo dell’inazione, ossia del non far nulla per prevenire l’impatto del cambiamento climatico, tecnicamente si parla di fare mitigazione.
Dalla COP27 esce un chiaro impegno a ricercare il coinvolgimento dei responsabili delle istituzioni finanziarie internazionali al fine di individuare finanziamenti efficaci per l’obiettivo. Da sottolineare l’invito rivolto alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale di contribuire con approcci nuovi e innovativi. Sarà quindi necessario riformare il sistema finanziario globale, rivedendo le regole internazionali per mobilitare i volumi necessari per l’azione climatica.
Prevenire è meglio che curare
Uno dei lati dolenti di questa COP è stata la “mitigazione” ovvero gli impegni e le azioni per ridurre le emissioni. Non si è riusciti – o non si è voluto – affrontare in modo esplicito e deciso la causa primaria del cambiamento climatico, ovvero l’utilizzo dei combustibili fossili.
Se da un lato manca un impegno chiaro sulla diminuzione e uscita dai combustibili fossili, principalmente a causa del freno di imprese e paesi produttori di gas e petrolio che stanno premendo per rallentare la transizione, dall’altro le rinnovabili entrano per la prima volta nel testo di una COP. Accelerare sulle energie rinnovabili e renderle il perno della transizione, anche in risposta alla crisi energetica globale è infatti il messaggio che esce dal testo di Sharm.
Nostro malgrado, a Sharm abbiamo visto un esplicito tentativo da parte di imprese e paesi produttori di gas e petrolio di rallentare una transizione necessaria e ormai inevitabile. Preoccupa osservare che i super profitti generati quest’anno dalla crisi energetica vengano indirizzati all’avvio di nuove esplorazioni e produzione di idrocarburi, soprattutto di nuovo gas e infrastrutture nel Mediterraneo e in Africa, incompatibili sia con la sicurezza climatica che con quella energetica. Ciò a fronte delle grandi potenzialità di alternative pulite, immediatamente disponibili e più sicure in queste regioni.
Il ruolo dell’Europa
L’Europa ha giocato un ruolo importante quest’anno. Nella notte di giovedì 17 novembre ha avanzato una proposta ambiziosa che univa il fondo per le perdite e danni alla mitigazione, sottolineando che se non fai mitigazione, i costi per perdite e danni continueranno ad aumentare. Una mossa, quella di Bruxelles, che ha permesso di sbloccare l’impasse negoziale, anche se alla fine non è riuscita a spuntarla su un testo con maggior ambizione lato mitigazione.
L’Italia
L’Italia era presente con una forte delegazione diplomatica capitanata dall’Inviato Speciale per il Clima, Alessandro Modiano. Quest’anno il nostro Paese era anche presente con un padiglione dove si sono tenuti innumerevoli incontri pubblici di alto livello. La posizione italiana è perfettamente allineata all’azione europea. Questa COP è stata anche la prima occasione della Presidente Meloni e del Ministro Pichetto Fratin per presentarsi sul principale palcoscenico della diplomazia climatica globale. I primi passi, il nuovo governo sembra muoverli nel solco del Governo Draghi e delle regole multilaterali adottate finora. Sarà importante vedere le scelte future del nuovo esecutivo sul fronte energetico e finanziario, in aggiunta a quelle incoraggianti presentate a Sharm e Bali come il Fondo italiano per il clima, gestito da Cassa Depositi e Prestiti, e il contributo per la decarbonizzazione dell’Indonesia e del Vietnam.
La COP si è chiusa. Delegati, attivisti e tutto il mondo coinvolto direttamente nell’azione climatica ha lasciato quei corridoi che per due settimane hanno permesso di porre il tema clima al centro dell’agenda internazionale. La strada che condurrà alla COP28 di Dubai è lunga. Ma la sfida climatica non può limitarsi a due settimane di confronto all’anno. Sarà quindi fondamentale osservare le azioni che i singoli paesi porteranno avanti da qui alla fine del 2023, per dare concretezza agli impegni e cercare di fare fronte comune alla sfida globale più complessa dei nostri tempi.
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