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“Giustizia è riconoscere i rifugiati climatici”. Intervista a Francesca Rosignoli

“Perché una persona che scappa dalla guerra viene riconosciuta come rifugiata e una che scappa da una catastrofe no? È questa la base dell’ingiustizia: in realtà, entrambe vivono una situazione di estrema vulnerabilità. Oggi servono leggi internazionali che riconoscano i rifugiati ambientali e garantiscano loro gli stessi diritti”.

A parlare è Francesca Rosignoli, esperta di migrazioni climatiche, che lavora attualmente come Junior Global Horizons Fellow presso lo Swedish Collegium for Advanced Study di Uppsala, in Svezia. 

È lei una delle relatrici della nuova edizione di TEDxBologna, che torna quest’anno per portare l’attenzione su una questione urgente e attuale. “Giustizia ambientale e migrazioni” è il titolo dell’evento inserito all’interno di #ClimateOfChange, la campagna promossa da WeWorld, in programma al Teatro Manzoni, a Bologna, giovedì 30 giugno alle 20.

Oggi esistono più di 20 termini diversi per indicare chi scappa per la crisi climatica

Il tema di questa edizione mette in luce il legame tra crisi ambientale e migrazione: nella storia del nostro pianeta non è la prima volta che il clima subisce importanti trasformazioni, ma, a differenza di altre epoche, i drastici cambiamenti di oggi sono significativamente determinati da attività umane. Inoltre, l’attuale economia globale è profondamente diseguale, basata su aziende guidate dal profitto che approfittano delle risorse, delle vite e degli habitat del pianeta. La crisi che viviamo oggi è il segno tangibile dell’interconnessione tra giustizia ambientale e sociale.

“Già nel 1985 si parlava di rifugiato ambientale, ma le proposte di normativa sono sempre state abbandonate”, continua Rosignoli. “Quello che manca è una definizione univoca con contorni concettuali chiari: oggi esistono più di 20 termini diversi per indicare chi scappa per colpa della crisi climatica. È difficile quindi raccogliere statistiche e pianificare politiche efficaci basate sui numeri”.

Francesca Rosignoli ha svolto due anni di attività di ricerca come postdoctoral fellow presso il dipartimento di Scienze politiche all’Università di Stoccolma, con un progetto sulla giustizia ambientale e i rifugiati climatici. A maggio ha pubblicato il saggio Enviromental Justice for Climate Refugees, edito da Routledge.

“Per studiare il fenomeno delle migrazioni ambientali manca una prospettiva dinamica, nel tempo e nello spazio, che invece si può trovare mettendo insieme la geografia e il diritto”, continua Rosignoli. “Esistono due tipi di devastazione ambientale: quelle a insorgenza rapida, come i tifoni, i terremoti e gli incendi, e quelle a insorgenza lenta, come la desertificazione o l’innalzamento del mare. Nel primo caso c’è un evento zero che cambia la vita delle persone da un giorno all’altro e che le costringe a scappare: il movimento è forzato, come avviene per i rifugiati di guerra. Nel secondo caso, invece, la persona può ancora decidere cosa fare ha davanti diverse scelte: il movimento è volontario, e quindi dal punto di vista del diritto ci si avvicina di più alla categoria del migrante”. 

Chi muove o subisce danni durante le catastrofi ambientali sono soprattutto le donne e i bambini

Davanti all’attuale vuoto normativo, le strade sono due, spiega Rosignoli: o si promulgano nuove leggi, o si interpretano in modo più ampio quelle che già ci sono. Ma lavorare a una legge nuova è difficile, perché i contorni della figura del rifugiato climatico sono ancora troppo sfumati. E allora si potrebbe rinegoziare la convenzione di Ginevra, ma il rischio è che venga modificata al ribasso, invece che essere allargata anche ai rifugiati climatici, restringendo invece la platea dei beneficiari.

“La terza via potrebbe essere quella di interpretare in maniera più ampia la convezione di Ginevra, partendo però dal concetto di vulnerabilità della persona, e non dalla causa che la spinge a spostarsi. Bisogna avere una prospettiva meno eurocentrica, più vicino alle esigenze del sud globale, ricordandoci che tra un po’ toccherà a noi: quando mai abbiamo registrato 50 gradi in Sicilia? Da quanti anni non vedevamo il Po in una situazione come quella di oggi?”

Oggi Francesca Rosignoli sta ampliando la sua agenda di ricerca per esplorare il tema delle migrazioni climatiche nella prospettiva del genere. “Sono partita chiedendomi: chi sono quelli che patiscono di più per il cambiamento climatico? Chi è obbligato a partire? E chi invece non ha neanche le risorse per andarsene, ed è costretto a rimanere lì dov’è? Dalle poche statistiche che ci sono, risulta che chi muore o subisce gravi danni durante le catastrofi ambientali sono soprattutto le donne e i bambini. Le fasce di popolazione più vulnerabile. Quando l’Europa parla di politiche di genere, di solito include solo le donne, finendo per avere una visione semplificata e stereotipata: le soluzioni sono sempre pensate ad hoc per le donne, come se potessero fare tutto loro, dando sulle loro spalle tutte le responsabilità”.

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