“Ecco le proposte per fermare le disuguaglianze”. Così il movimento cooperativo discute di futuro
Meccanismi per garantire una partecipazione vera dei soci alla vita cooperativa, sperimentazioni di nuovi modelli di governance, consigli di amministrazione con un equilibrio di genere, regolamenti capaci di assicurare il ricambio generazionale, sviluppo dei workers buyout e delle cooperative di comunità, interventi legislativi per permettere una gestione cooperativa dei beni comuni.
Sono state queste alcune delle proposte discusse a Bologna in un lungo seminario organizzato dal Forum Diseguaglianze e Diversità, dalla Fondazione Unipolis, e in collaborazione con Coopfond.
L’obiettivo dell’incontro è stato esplicitato già dal titolo dell’evento: “Per un’economia più giusta. La cooperazione come argine delle disuguaglianze e abilitatore di giustizia sociale”. Una discussione aperta quindi, dove cooperatori e cooperatrici hanno ragionato sul ruolo della cooperazione e su come il movimento cooperativo possa aumentare il suo potenziale di argine alle disuguaglianze.
Stimolo al dibattito un documento di 14 pagine a cui hanno lavorato anche esperti e accademici. Perché proporre un documento del genere? Il senso storico lo ha fornito l’economista e co-coordinatore del Forum DD Fabrizio Barca.
“Siamo di fronte ad una biforcazione storica – ha detto – Da una parte c’è una prospettiva che ci porterà sempre più verso forme di concentrazione di potere economico e politico, dall’altra c’è un’alternativa fatta di neomutualismo, democrazia economica, workers buyout, cooperative di comunità”.
Come imboccare la seconda strada? “Iniziando a sperimentare proposte nuove e concrete. Chi meglio del movimento cooperativo può farlo, visto che nel dna della cooperazione c’è la capacità di agire verso l’attuazione dell’articolo 3 della Costituzione italiana? Quello che prevede la rimozione degli ostacoli verso il raggiungimento della libertà e dell’uguaglianza”.
“Il vero obiettivo del documento che abbiamo elaborato sta nell’innovare i meccanismi della cooperazione – ha detto Maria Luisa Parmigiani, direttrice della Fondazione Unipolis – Per questo per un anno abbiamo ragionato sia di processi interni al mondo cooperativo, sia di cambiamenti legislativi. Abbiamo integrato, emendato, modificato,raccolto proposte, sollecitazioni, spunti di discussione. Vogliamo con questo documento stimolare il movimento cooperativo ad essere protagonista del cambiamento in atto”.
Ed è stato proprio sul documento e sulle sue proposte che si è concentrata la discussione, e si concentrerà anche in futuro visto che saranno previsti altri momenti di dibattito.
Si continuerà a ragionare sicuramente sul ruolo delle donne nella cooperazione, visto che la discriminazione di genere è “la meno visibile eppure la più presente tra tutte le discriminazioni”, ha ricordato Raffaella Palladino della coop sociale Eva. Tra le proposte quella di mettere in atto meccanismi capaci di garantire una “presenza equilibrata, non solo simbolica, delle donne nei consigli di amministrazione, nella gestione del personale, nelle assemblee, orientando tutta l’organizzazione in tal senso e ponendo attenzione mirata nel sostenerne il protagonismo”.
Altra riflessione quella della capacità delle cooperative di gestire i beni comuni. “Una modalità è quella della coprogettazione dei servizi, oppure di una sempre maggiore condivisione con gli enti pubblici delle modalità di accreditamento”, ha detto Simone Gamberini, direttore generale di Coopfond. Prospettive queste che, però, per dispiegarsi completamente potrebbero avere bisogno di interventi legislativi. Ad esempio, dice il documento, “prevedendo sempre nei processi di affidamento di servizi pubblici la possibilità che vi partecipino anche cooperative”.
Altro tema quello delle cooperative di comunità. “La cooperazione può avere un ruolo di primo piano per quanto riguarda la transizione ecologica e la sostenibilità. Perché non trasformare le cooperative di comunità in cooperative energetiche?”.
Agli esperti del Forum Diseguaglianze e Diversità Lorenzo Sacconi dell’Università di Milano e Francesco Vella dell’Alma Mater di Bologna è andato invece il compito di spiegare tecnicamente le varie proposte contenute nel documento. Nella consapevolezza, ha detto Fabrizio Barca che non tutte saranno praticabili e che quelle che saranno sperimentate, “come è normale che succeda in questi casi, potranno in parte non dare i frutti sperati”.
Il prof Sacconi ha spiegato perché, nel loro complesso, le proposte del documento presentato abbiano un grande potenziale trasformativo per la società. “Le diseguaglianze per quel che ne sanno gli economisti si sono sempre formate nei mercati e nelle imprese, cioè nel momento in cui si produce ricchezza e la si distribuisce. Poi lo Stato si è preso il compito di aggiustare la situazione attraverso la redistribuzione. Bene, noi diciamo che se si vuole intervenire a monte, dove la ricchezza è prodotta, allora è bene guardare a forme e poteri della governance aziendale cooperativa, quella capace più di tutte le altre di garantire democrazia economica e partecipazione”.
Nel concreto la proposta è quella di sviluppare un modello multi stakeholder. Dove cioè siano sì i soci e non gli azionisti che detengono quote dell’azienda a governare (e già questa è una differenza importante rispetto a quel che succede, ad esempio, in una società per azioni), ma anche dove ai soci si affianchino dei Consigli del Lavoro e della Cittadinanza, “per garantire rappresentanza e partecipazione ai portatori di interesse del territorio e dell’impresa cooperativa”.
L’idea è che all’interno degli organi di governo delle cooperative entrino anche i lavoratori delle filiere di fornitura, oppure rappresentanti delle comunità locali.
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