I deinfluencer ci dicono cosa non acquistare e che trend non seguire
Sono popolari sui social network, hanno migliaia di follower e attraverso le loro pagine cercano di influenzare i comportamenti d’acquisto e lo stile di vita delle altre persone. Solo che, invece che indirizzarle verso questo o quel prodotto, consigliano cosa non comprare e quali trend non seguire.
Sono i deinfluencer, creator che si distinguono per fare l’opposto di quello che fa un influencer: oltre a esortare i follower a riflettere prima di acquistare i prodotti sponsorizzati, li aiutano a non cadere nelle dinamiche del marketing social. In un’epoca in cui Instagram e TikTok sono diventati una colonna portante dell’e-commerce, i deinfluencer propongono prodotti alternativi, a minor prezzo o fatti in casa. Oppure consigliano alle persone di fermarsi e non acquistare nulla.
“Gli influencer parlano ai loro follower come se fossero solo dei consumatori”, spiega Alice Pomiato, 32 anni, deinfluencer che sul suo profilo Instagram ha quasi 50mila follower. “Eppure il cambiamento non passa solo attraverso un nuovo modello di consumo: non basta smettere di comprare vestiti di pelle e iniziare a comprare vestiti di poliestere, dobbiamo innanzitutto comprare meno. Il nostro stile di vita va rivisto alla base. Il punto non è solo diventare consumatori responsabili, ma smettere di essere solo consumatori: non è necessario acquistare per fare la differenza”.
Il deinfluencing nasce alcuni anni fa su YouTube con il nome di anti-haul: il termine deriva dai cosiddetti haul, video virali in cui le persone mostrano i loro recenti acquisti. Il primo anti-haul viene pubblicato nel novembre del 2015, quando la drag queen Kimberly Clark posta un video intitolato “Cosa non comprerò in queste vacanze”. Da allora si scatena una vera e propria tendenza su YouTube: oggi sono oltre due milioni i video anti-haul disponibili in rete.
Dall’anti-haul poi si è passati al deinfluencing, che qualche settimana fa è diventato virale su TikTok: il trend sembra aver preso piede dopo il “MascaraGate” che ha coinvolto l’influencer Mikayla Nogueira, che su TikTok ha oltre 14,4 milioni di follower e 1,1 miliardi di Mi piace. Mikayla è stata accusata di indossare ciglia finte mentre esaltava le virtù di un prodotto per migliorare le ciglia di L’Oréal: da quel momento, l’hashtag #deinfluencing è diventato virale, soprattutto nei campi della bellezza e dello stile di vita.
Potrebbe essere l’ennesimo trend effimero e passeggero, oppure il fenomeno potrebbe crescere ancora. “È interessante vedere un gruppo di persone avviare un dibattito sulle modalità, le tecniche e le storture di un certo tipo di influencer marketing, peraltro utilizzando gli stessi mezzi e gli stessi canali”, scrive il giornalista e esperto di comunicazione Valerio Bassan nella sua newsletter Ellissi. “Ma mi viene un dubbio. Non è che questi deinfluencer, alla fine, risultino un po’ troppo simili al sistema che vorrebbero denunciare? Sui social, infatti, anche dire chi non siamo o in cosa non crediamo contribuisce a creare il nostro personaggio”.
Per molti versi, il deinfluencing è un nuovo modo per i creators di costruire la propria credibilità ed essere visti come trasparenti e autentici, in un momento in cui distinguersi è sempre più difficile. Gli influencer e i deinfluencer, allora, sono solamente due facce della stessa medaglia?
“Io prima lavoravo come digital strategist in un’agenzia di comunicazione: il mio compito era aiutare le aziende a vendere sempre di più”, spiega Pomiato. “Con il mio lavoro spingevo le persone verso uno stile di vita non sostenibile, e nel frattempo sentivo il climate clock che ticchettava. Non potevo continuare così: nel 2018 ho mollato tutto e ho comprato un biglietto di sola andata per l’Australia. Ho aperto un account Instagram e oggi lavoro come content creator sul tema della sostenibilità. La mia vita è cambiata radicalmente”.
Criticare o promuovere un prodotto stimola potenzialmente l’engagement dei follower, questo è vero. Ma, sebbene nel breve periodo possa rafforzare il legame con la propria community, nel futuro pone una sfida: come monetizzare il deinfluencing? Come invogliare i brand e le aziende a rivolgersi ai deinfluencer?
“In un momento come questo, in cui l’attenzione all’ambiente è sempre più centrale, bisogna stare attenti ai creator che usano la sostenibilità solo come carta per aumentare la propria visibilità”, conclude Pomiato. “Lo stesso vale per i brand: non sempre è facile capire quale azienda è realmente attenta all’impatto dei propri prodotti sul pianeta. E quale invece sta facendo solo greenwashing. Bisogna informarsi, studiare, investire tempo e risorse: solo così si può fare informazione in maniera seria. Sui social come altrove”.
Change-Makers è il magazine digitale che racconta idee, storie, protagonisti del cambiamento. Scriviamo di cooperazione e innovazione sociale, ambientale, economica, digitale, organizzativa, etica e filosofica.
Se vuoi restare in contatto con noi iscriviti alla nostra newsletter.