Impact 4 Prosperity. Misurare l’impatto
Non c’è impatto se non è misurato. Diverse sono le teorie dietro le metodologie di misurazione dell’impatto, ma una cosa è certa: la misurazione è la base di partenza per un business sostenibile. Cosa significa in pratica?
Ne abbiamo parlato nell’incontro Misurare l’impatto – How to?, il terzo appuntamento del ciclo “Impact 4 Prosperity”. Un modo per immaginare un business un-usual e promuovere una nuova idea di impresa capace di generare prosperità condivisa nel rispetto dei limiti ambientali e sociali.
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A parlare c’erano Matteo Ghibelli, project manager di Open Impact e dottorando in economia e management all’università di Tor Vergata, Letizia Rigazzi, evolution guide e activism champion di Nativa, regenerative design company e prima B Corp e Società Benefit in Italia ed Europa, e Edoardo Iannuzzi, fondatore e creative director di ACBC, startup BCorp certificata che produce scarpe a basso impatto.
Matteo Ghibelli ha raccontato il suo ruolo all’interno di Open Impact, start up che fornisce servizi di misurazione dell’impatto, spin off dell’Università di Tor Vergata. Si tratta di una piattaforma che sistematizza e automatizza la gestione del ciclo di impatto, per supportare le organizzazioni nel migliorare le proprie performance dal punto di vista sociale e ambientale, oltre che economico: sono 388 i soggetti già registrati.
“Siamo partiti da una domanda”, racconta Ghibelli. “Per elaborare un impianto valutativo dell’impatto di un progetto, ogni volta bisogna ripartire da zero? La risposta è no. E così abbiamo raccolto in un database le valutazioni di impatto sociale fatte nel tempo, mettendo a disposizione quelle informazioni e il nostro bagaglio di competenze per progetti futur”i.
Open Impact non si ferma alla possibile ricaduta delle azioni di un’organizzazione in un territorio specifico, ma ha portato avanti una riclassificazione degli obiettivi di sviluppo sostenibile calandoli nel concreto. “L’impatto sociale influisce su tre livelli: macro, meso e micro”, prosegue Ghibelli. “L’approccio è sistemico e passa da una prospettiva di breve periodo a una di medio-lungo termine”.
L’impatto non tiene conto solo degli effetti positivi ma anche di quelli negativi, previsti o imprevisti, prodotti direttamente o indirettamente. La catena del valore dell’impatto parte allora dall’input (risorse a vario titolo dell’organizzazione), passa per le attività e gli outpus (prodotti tangibili generati dall’attività), fino ad arrivare agli outcomes (conseguenze delle attività).
Letizia Rigazzi ha illustrato l’evoluzione delle aziende verso paradigmi economici sostenibili dalla sua prospettiva di evolution guide e activism champion di Nativa, regenerative design company che ha portato il modello B Corp in Italia. “Il nostro obiettivo è di aiutare le aziende ad andare verso modelli di business rigenerativi”, racconta. “Naturalmente gli approcci cambiano a seconda del settore e del contesto in cui opera la singola impresa, ma una regola vale sempre: per rispondere alla sfida che abbiamo di fronte, che è una sfida sistemica, bisogna supportarsi a vicenda in una logica di interdipendenza”.
Uno strumento essenziale allora è il B impact assessment, strumento online gratuito progettato da B Lab, che permette di misurare le performance di sostenibilità di un’impresa in 5 aree: governance, lavoratori, comunità, ambiente, clienti. “Quello è il punto di partenza che ci permette di capire come siamo posizionati”, spiega Rigazzi. “Dopo l’analisi viene il cambiamento: la misura dev’essere funzionale a un miglioramento”.
Edoardo Iannuzzi ha parlato del modello di innovazione che sta dietro a ACBC, acronimo di “Anything can be changed”, startup BCorp certificata nata nel 2017 per produrre scarpe a basso impatto. “La neutralità climatica è la principale priorità della nostra epoca”, dice Iannuzzi. “Ecco perché bisogna puntare su nature-based solutions, investire nelle tecnologie e lavorare per arrivare a materie prime, processi, strutture sostenibili”.
Iannuzzi è uno dei fondatori di ACBC, che nel tempo ha brevettato competenze e tecnologie e le ha condivise con 32 brand grandi e piccoli, abbassando l’impatto di circa un milione di prodotti. “La nostra forza sta nel fare rete: l’eco design è un mondo in continua evoluzione, che speriamo che diventi sempre più mainstream”, conclude Iannuzzi. “Ora stiamo lavorando per realizzare nuove eco labels, etichette ambientali che incrociano le certificazioni già esistenti con la carbon footprint di prodotto”.
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