La settimana lavorativa corta tra rischi e opportunità: in Italia parte la sperimentazione
Lavorare meno ore, essere più produttivi, lasciare intatto il salario. È la settimana lavorativa corta, un tema di cui si discute da tempo, ma che negli ultimi mesi ha ritrovato spazio nel dibattito pubblico.
In altri paesi sono già state avviate sperimentazioni, mentre in Italia ancora non esiste una norma nazionale che regoli questa questione. Oggi Intesa Sanpaolo fa da apripista, lanciando un programma per sperimentare la settimana di lavoro di 36 ore, invece che 37,5, con un giorno lavorativo in meno.
La proposta che la banca ha avanzato è di articolare l’orario in 4 giorni alla settimana per 9 ore al giorno, a parità di stipendio: la scelta del giorno libero sarebbe a discrezione del lavoratore, che dovrebbe fare richiesta al proprio responsabile. Al momento, la sperimentazione non sarebbe per tutti, ma solo per chi lavora negli uffici e non agli sportelli.
Il gruppo, che ha oltre 74mila lavoratori in Italia e 96mila a livello globale, ha inserito questa proposta in una più ampia trattativa con i sindacati sulla flessibilità, che va dall’orario di lavoro fino allo smart working. Attualmente la trattativa è in corso.
Cosa succede negli altri paesi
La settimana corta è già stata sperimentata in Europa, a partire dalla Francia, che dagli anni Novanta ha una legislazione sul tempo pieno a 35 ore settimanali. In Islanda la prima sperimentazione è avvenuta tra il 2014 e il 2019, coinvolgendo 2.500 operatori di assistenza all’infanzia e servizi, e personale delle case di cura: i risultati sono stati molto positivi.
Lo scorso anno è stata la volta della Scozia, mentre in tutto il Regno Unito, quest’anno una trentina di aziende ridurranno i giorni di lavoro da cinque a quattro, grazie a un progetto pilota coordinato dall’organizzazione no profit 4 Day Week Global. A inizio 2022 anche il Belgio ha istituito la settimana lavorativa corta, con una differenza: le ore lavorate restano le stesse e vengono concentrate in quattro giorni invece che in cinque.
Anche in Spagna tra pochi mesi partirà un progetto pilota della durata di tre anni, a cui sta guardando con interesse anche l’Italia: le imprese che aderiranno passeranno da 39 ore a 32 settimanali, mantenendo invariati gli stipendi.
Ma anche fuori dall’Europa ci sono esperienze di questo tipo, guidate sia dai governi, sia da imprese particolarmente all’avanguardia: gli Emirati Arabi hanno introdotto la settimana lavorativa a quattro giorni e mezzo, in Giappone Microsoft ha concesso un giorno libero in più a settimana ai propri dipendenti, con il risultato che la produttività è aumentata del 40%, e in Nuova Zelanda anche Unilever da gennaio 2021 ha sperimentato la settimana corta, riducendo l’orario lavorativo dell’80%.
L’origine della proposta
Inizialmente la settimana lavorativa corta era stata pensata per perseguire un ideale aumento dell’occupazione, secondo il vecchio slogan “lavorare meno, lavorare tutti”.
Ma una recente ricerca di Irvapp, l’Istituto per la ricerca valutativa sulle politiche pubbliche, ha dimostrato che non crea né distrugge posti di lavoro. Laddove è stata sperimentata, infatti, non ha avuto alcun effetto sull’occupazione.
E allora, quali sono i vantaggi della settimana lavorativa di quattro giorni?
I benefici della settimana lavorativa corta
Ridurre l’assenteismo. Attrarre lavoratori più qualificati, che cercano condizioni di lavoro più flessibili. Aumentare il benessere del lavoratore, attraverso un miglior equilibrio tra vita lavorativa e privata. Sono solo alcuni dei vantaggi della settimana lavorativa corta, diventata ancora più urgente dopo la pandemia.
Lavorare meno ore permette inoltre di aumentare la partecipazione delle donne al mondo del lavoro. Questo grazie a una suddivisione più bilanciata dei lavori domestici, e di abbassare la produzione di emissioni inquinanti: se lavori meno, hai un costo energetico minore e hai più tempo per portare avanti uno stile di vita più sostenibile.
Il nodo della produttività
Oggi l’Italia ha un livello di produttività più basso rispetto agli altri paesi europei: secondo i dati Ocse, un lavoratore italiano produce in media una ricchezza annuale in termini di Pil pari a 70.894 euro, contro i quasi 80mila in Germania e gli 86mila in Francia. Anche il trend di crescita è abbastanza lento: rispetto a vent’anni fa la produttività è cresciuta solo del 31%, contro il 50% della Francia, il 51% della Germania e il 55% della Spagna.
Parallelamente, se si guardano le statistiche sul numero di ore lavorate, si vede che il nostro è uno dei paesi europei in cui si lavora di più in termini di tempo. La media è di 1.668,5 ore lavorate da ogni lavoratore in un anno, contro le 1.349 della Germania, le 1.490 della Francia e le 1.641 della Spagna.
In pratica, noi italiani lavoriamo di più, ma in maniera meno produttiva. La settimana lavorativa corta potrebbe portare un cambio in questo senso, visto che lavorare meno porta a un aumento della produttività del singolo lavoratore.
I problemi della settimana lavorativa corta
In primis, c’è il rischio che concentrare il lavoro in meno ore porti a sovraccaricare il lavoratore. Inoltre, se la settimana lavorativa corta non dovesse essere affiancata ad adeguati sostegni di welfare, come ad esempio i doposcuola o le babysitter aziendali, diventerebbe poco praticabile per tutti i lavoratori che devono prendersi cura dei figli e della famiglia: in primis le donne.
Un punto importante, poi, è quello di garantire i diritti di chi sceglie la settimana corta: bisognerebbe vigilare per verificare che le persone non lavorino in orario extra senza rispettare le leggi che regolano gli straordinari. E controllare che i lavoratori part-time non finiscano per lavorare molte più ore. Infine, la riduzione dell’orario non deve comportare di avere turni di lavoro irregolari e in continuo cambiamento, che finirebbero per avere un impatto negativo sulla vita delle persone.
Se la riduzione dell’orario viene introdotta a parità di stipendio, infine, potrebbe portare a un aumento del costo orario del lavoro per l’azienda: alcune imprese sarebbero costrette ad assumere più dipendenti per compensare le ore in meno, dovendo far fronte a spese maggiori. In generale, infatti, si parla molto della difficoltà di applicare la norma a tutte quelle professioni per cui si lavora su turni: operatori sanitari, commessi, operatori della ristorazione, impiegati che lavorano a contatto con il pubblico.
Una nuova cultura del lavoro
Eppure, alcuni ristoranti, bar e aziende di servizi stanno già lavorando per ottimizzare i propri processi, in un’ottica di ridurre l’orario dei dipendenti. Un esempio? La catena spagnola di ristoranti la Francachela, che fornisce un QRCode con cui i clienti non solo possono leggere il menu, ma anche fare direttamente la propria ordinazione. In questo modo i camerieri devono solo portare i piatti al tavolo.
“Si tratta di creare una nuova cultura organizzativa del lavoro, che utilizzi le tecnologie in modo intelligente per creare una flessibilità che si adatti il più possibile alla vita di ciascuno”, ha spiegato Joan Sanchis, professore di economia all’università di Valencia e autore e autore del libro Quattro giorni. Lavorare meno per vivere in un mondo migliore. “Il lavoro non è più l’elemento portante dell’identità di ciascuno di noi. La pandemia ci ha insegnato che esistono anche altre sfere che troppo spesso abbiamo trascurato, e che invece hanno pari dignità. Abbiamo capito che un essere umano non è solo il mestiere che fa”.
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