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“L’Italia è un paese a civiltà limitata”. Intervista a Franco Grillini

“Sul piano culturale abbiamo stravinto la nostra battaglia, ma sul piano legislativo resta ancora tanto da fare. Quello è il campo di battaglia di tutte le lotte per i diritti”. Sono parole di Franco Grillini, padre del movimento gay italiano e protagonista di Let’s Kiss – Franco Grillini, storia di una rivoluzione gentile, film documentario prodotto da Genoma Films, sostenuto dall’Emilia Romagna film commission e vincitore di un Nastro d’Argento, che verrà proiettato il 21 luglio in Piazza Maggiore in un’edizione speciale della Change Makers Night. Dopo aver parlato del film con il regista Filippo Vendemmiati, abbiamo fatto due chiacchiere con Franco Grillini. Ecco cosa ci ha raccontato.

Come l’ha convinta Vendemmiati a fare un film sulla sua vita?


Bè innanzitutto va detto che noi ci conosciamo dagli anni ‘70, sono cinquant’anni, anche se lui non lo dice mai perché gli fa un po’ impressione
Tra l’altro non è stato il primo a farmi questa proposta. C’era un altro progetto che era addirittura già partito ma che poi ho abbandonato perché non mi convinceva del tutto.
Con Vendemmiati le condizioni sono state diverse sin dall’inizio e alla fine abbiamo lavorato a questo film per tre anni. Siamo partiti nel 2019 andando a New York nell’anno del cinquantesimo anniversario dei moti di Stonewall, lì dove è nato il movimento gay moderno.

Erano anni in cui la polizia tormentava abitualmente i locali gay, anche perché c’era una normativa che inseriva l’omosessualità nell’elenco delle malattie mentali e di conseguenza ai gay non era permesso consumare alcolici. Una norma che è stata cancellata solo nel 1990, in quel 17 maggio che è poi diventata la giornata mondiale contro l’omofobia.

Ci siamo ritrovati a New York in una settimana in cui si sono riversate in città milioni di persone. È stata una cosa imponente, gigantesca, bellissima. Tra l’altro è stata la prima volta che andavo a New York.

Davvero?


Sì sì, non ero mai mai stato negli Stati Uniti. Quindi, diciamo che è stata una partenza col botto. E il film inizia proprio con le riprese fatte a New York

In Italia c’è un’altra data importante per il movimento gay


Sì, prima di tutto per noi bolognesi. È il 28 giugno 1982, con l’inaugurazione del Cassero in Porta Saragozza. La finestra che affaccia sulla piazza è stata il mio ufficio per un sacco di anni.

Anni in cui non c’era una grande sensibilità per i diritti, neanche a sinistra


Anche adesso non è che siamo messi molto meglio. Guarda cos’è successo con Mattia Santori: tutto ‘sto casino per tre piantine coltivate in casa.
È come quando fa notizia ancora il preservativo, che era stato uno dei nostri strumenti di battaglia per la lotta contro l’Aids negli anni ‘80.
Proprio qualche giorno fa siamo stati in Canada per presentare il film. Lì ad esempio il dibattito non esiste neanche più. La cannabis è legalizzata, tolta alle mafie e lo stato ci fa pure un sacco di soldi.
Qui a Bologna invece sono tutti con il mal di pancia

Franco Grillini e Filippo Vendemmiati

Come dice nel suo film vizi privati e pubbliche virtù


Esattamente. Anche se per quel che riguarda i diritti per i gay abbiamo fatto grandi passi avanti. Soprattutto a livello sociale, politico e culturale. Sul piano culturale abbiamo addirittura stravinto. Ma ci rimane il piano legislativo. Quello è l’osso duro, ma non solo per noi, per tutti i diritti civili. Vedi lo ius scholae, la depenalizzazione della cannabis, il fine vita.
L’Italia è un paese a civiltà limitata. Come ci scrisse una signora che aveva visto il nostro film

Una delle sue proposte per il titolo era Onorevole Mafalda. Ci racconta perché?


Mia madre aveva un tumore terminale, era stata a Roma in viaggio di nozza e poi non c’era più stata. Volevo fargliela vedere, volevo farle vedere dove lavoravo. E la mia più grande soddisfazione è stata quella di metterla seduta al mio posto alla Camera. Un’operaia semianalfabeta seduta lì. Allora le ho detto: “mettiti seduta che ti faccio una foto: ti chiamerò Onorevole Mafalda.”

E tra l’altro la scena dove lo dico è un mio girato. Una delle poche volte in cui ho tentato di fare il cineoperatore con risultati abbastanza scarsi. Nel film ci sono diverse scene che ho girato all’epoca e che sono state poi montate insieme al resto. Era il 3 gennaio 2003, la tecnologia era quella che era.

Quella per la tecnologia è una sua antica passione


Ho sempre avuto la mania delle foto e della tecnologia: pur avendo 67 anni mi definisco un nativo digitale. In Parlamento mi sono anche occupato di tecnologia fondando l’Associazione interparlamentare per il superamento del digital divide, nel 2001.
Sono stato un precursore!

Come è nata la storia del compagno busone? Oggi diventerebbe subito virale


Pensa che quel ragazzo era un partigiano; un operaio che era stato un partigiano su cui è stato anche scritto un libricino. Eravamo alla Casa del Popolo di via Andreini. Sicuramente in quell’assemblea operaia c’era un sentimento del politically correct molto diverso da quello di oggi.
Lì per lì rimanemmo sorpresi, ma lui mi chiamò compagno busone con empatia e partecipazione. Non voleva offendere. Ce la siamo raccontata per anni.

Come sta andando il film?


Diciamo che siamo molto sorpresi dalla quantità di richieste che riceviamo per poter vedere e poi discutere il film. Richieste che arrivano anche dall’estero. Se dovessi cercare una spiegazione, direi perchè è una storia in cui si riconoscono in tanti.
È’ una storia di militanza, di impegno sociale ma anche di rapporti familiari. È un pezzo della storia d’Italia. Ma devo dire che non ci aspettavamo questo successo. Stiamo facendo tantissime presentazioni in giro per l’Italia e per il mondo.

Del resto con il titolo Let’s Kiss, già c’era uno sguardo oltre confine


Il titolo alla fine l’abbiamo scelto perché tutti gli ultimi fatti di omofobia sono legati all’espressione pubblica dell’affettività tra persone dello stesso sesso. Gli atti di aggressione a persone che si baciano, e questo risulta insopportabile. Tra l’altro pochissimi giorni fa c’è stata la Giornata mondiale del bacio.

Cosa le dicono le persone alle presentazioni?


Ci sono delle discussioni lunghissime. Alle volte superano persino la durata del film stesso.
A Toronto abbiamo finito a mezzanotte e mezzo. A San Francisco all’una. In Italia, in una delle ultime presentazioni che abbiamo fatto a Viterbo, la piazza era piena di gente pagante. Io ancora mi sorprendo di come in piena estate ci sia della gente che paga per andare a vedere un documentario

E giovedì 21 sarete in Piazza Maggiore, a casa sua


Diciamo che Piazza Maggiore è un po’ il coronamento di un percorso che è partito proprio a Bologna con l’apertura del Cassero ma anche perché a Filippo Vendemmiati l’ispirazione è venuta dopo che Merola mi ha consegnato il Nettuno d’oro, una giornata molto partecipata, tanto che hanno dovuto spostare la cerimonia in una sala più grande perché non ci stavano tutti. C’erano le persone di una vita, quelle con cui ho combattuto le mie battaglie. Sono venute anche da fuori Bologna.

Quindi direi che Let’s Kiss è un film molto bolognese. Come lo sono io del resto.

Vendemmiati ci ha raccontato che c’è l’idea di fare un museo qui a Bologna


Nel 2016 pensavo di dover morire, i farmaci non funzionavano e c’era un rapido peggioramento, così ho pensato che dovevo sistemare tutte le mie cose prima. E allora ho donato tutto il mio archivio al Cassero, dove c’è il centro di documentazione più grande d’Italia, con una sacco di persone che vanno a consultare i materiali, le foto e i vecchi volantini. Quello di inaugurazione del Cassero ad esempio, l’ho scritto io.

L’idea su Bologna però è quella di un museo, sul modello di quello che c’è a Berlino, Londra, San Francisco a New York. C’è un dialogo in corso con l’amministrazione ma ancora siamo in una fase progettuale.

Come continua questa storia?


Pensa che solo il girato a casa mia, che poi abbiamo usato come voce narrante, dura venticinque ore. Venticinque ore di intervista! Ci sarebbe materiale per farne una serie, come Sampa. E a Filippo ho pure detto: “guarda che non ti ho raccontato neanche tutto”.
Del resto come si fa a riassumere una vita in 25 ore?

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