Mapping Diversity, i big data contro le discriminazioni di genere
Big data, crowdsourcing, accesso libero a database aperti. Tutto questo può aiutare a promuovere l’equità di genere? La risposta arriva direttamente dal progetto Mapping Diversity, realizzato da Obc Transeuropa e Sheldon.studio per European Data Journalism Network, che ha mappato le strade di 21 capoluoghi italiani per rispondere a una semplice domanda: esiste un gender gap nella toponomastica italiana?
Per capirlo, un team di ricercatori ha preso in considerazione un dataset di dimensioni e complessità notevoli, fatto di fonti aperte e costruite attraverso il crowdsourcing, come OpenStreetMap e Wikidata.
I risultati di Mapping Diversity
Il risultato, purtroppo, non stupisce granché: nei 21 capoluoghi di regione italiane, ci sono 24.572 strade intitolate a persone, di cui solo 1.626 sono intitolate a donne, ovvero il 6,6%. Escludendo le sante, il numero scende a 959.
Tra le città analizzate, Bolzano è quella con la percentuale maggiore di vie e piazze dedicate a donne, seppur solo con un 13%. Di contro, Aosta è l’ultima in classifica con un 2,7%: su 73 strade intitolate a persone, solo due sono dedicate a figure femminili, la crocerossina Ermelinda Ducler e la partigiana antifascista Aurora Vuillerminaz.
Guardando alle grandi città, a Roma su 16.500 vie e piazze, di cui 7.892 intitolate a persone, solo 528 (il 6,7%) sono dedicate a donne, di cui 391 se si escludono le sante. A Milano il quadro è ancora più sconfortante: su 4.367 strade, di cui 2.593 intitolate a persone, 127 sono dedicate a donne, il 4,9%.
Donne: quando ci sono sono delle sante
Tra i nomi delle donne più citate nelle nostre città, il primo in classifica è quello di Maria, la madre di Gesù, che compare più di un centinaio di volte. Troviamo strade a lei dedicate – con 65 diversi appellativi diversi, da Madonna del Mare a Virgo Potens – in tutti i capoluoghi tranne Aosta.
Assieme a Maria, tutti gli altri nomi femminili che compaiono più spesso sono di sante, con l’eccezione della regina Margherita di Savoia. È Grazia Deledda la prima figura femminile laica, storicamente esistita e non aristocratica, che compare nella classifica, attorno alla 150esima posizione, con 10 strade a lei intitolate.
“Quando si parla di dati si immaginano sempre un sacco di numeri, mentre invece quello che si intende quando si parla di database è una grande quantità di informazioni – spiega Valentina Bazzarin, ricercatrice ed esperta di etica dei dati, oltre che co-fondatrice di Period Think Tank –. Non si analizza dunque solo la quantità e la frequenza di una certa informazione, ma anche dove appare, e perché appare in un determinato modo: dal semplice ‘contare’ si può passare a interrogare i dati, per capire cosa ci dicono rispetto alla società in cui viviamo, anche per quanto riguarda le disuguaglianze di genere che continuano a esistere”.
I nomi delle nostre strade infatti potrebbero sembrare innocui elementi urbani, ma hanno un forte potere simbolico e sono frutto di processi legati alla costruzione della memoria storica collettiva.
Non è un caso che, dalla Rivoluzione Francese alle proteste Black Lives Matter, le richieste politiche di cambiamento siano state accompagnate da momenti carichi di simbolismo legati alla rinominazione di strade, piazze e altri spazi urbani. Nell’odonomastica dell’Italia contemporanea, chi è visibile e chi invece rimane nell’invisibilità?
“Interrogare i dati non è facile: servono strumenti per semplificare la complessità – continua Bazzarin –. Ecco allora che gli esperti stanno sempre più cercando di abbassare la soglia di accesso per aiutare le persone a interagire con le informazioni, e visualizzarle nel modo più significativo e chiaro possibile”.
Dai big data all’azione politica
Spiega Bazzarin: “Nel caso specifico, i dati di genere ci possono dare una base da cui partire per organizzare l’azione politica e di advocacy. Se il linguaggio dei dati è accessibile, si può intercettare un target di persone che di solito non sono protagoniste dell’azione politica, come le donne con disabilità, o con un basso livello di istruzione, oppure in condizione di fragilità economica e sociale”. Osservare i numeri, quindi, è solo un primo passo: quello successivo è trasformarli in azione politica”.
In questo caso una possibilità è di chiedere alle commissioni toponomastiche delle città di riconoscere il divario di genere e prestare maggiore attenzione, ricercando anche nuovi spazi urbani, tra parchi, sentieri e ciclabili, a cui assegnare nomi femminili.
“Facciamo attenzione, però – conclude la ricercatrice – non è importante solo il numero di strade intitolate a donne, ma anche quali sono queste strade e dove si trovano. Al momento, le vie intitolate a donne sono spesso periferiche o molto brevi, e non di rado vengono conosciute dai cittadini anche con un altro nome”.
La situazione in Europa
Secondo uno studio di Daniel Oto-Peralías e Dolores Gutiérrez Mora sulla toponomastica di genere nelle città spagnole, i comuni con una più alta percentuale di strade intitolate a figure femminili tendono anche a vantare numeri più egalitari in termini di emancipazione femminile.
In Italia è attiva l’associazione Toponomastica femminile, che svolge una densa attività divulgativa e organizza i censimenti sulla rappresentazione di genere nelle strade italiane. In Europa è presente EqualStreetNames, che copre diverse strade di Belgio, Paesi Bassi, Germania, Serbia e Svizzera, mentre il progetto Las calles de las mujeres delle Geochicas è focalizzato su Spagna e America Latina e in alcuni casi fa emergere numeri più paritari rispetto a quelli italiani: a L’Avana, Cuba, ben il 39% delle strade è dedicato a donne.
Nessun algoritmo è neutrale
“I dati e le tecnologie possono sì avere un ruolo nel ridurre le disuguaglianze, ma ahimè possono anche replicarle e amplificarle – aggiunge Bazzarin –. Nei sistemi tecnologici o di intelligenza artificiale avvengono discriminazioni che procedono di pari passo con le disuguaglianze nella nostra società: gli algoritmi prendono delle decisioni in maniera automatica basandosi su database che rappresentano la realtà in maniera distorta, in cui le donne non sono equamente rappresentate. I dati non sono mai oggettivi o obiettivi: è diventato quindi necessario avversi di una rilettura dei dati, per compensare questi squilibri. Alcune categorie discriminate nel mondo reale sono discriminate anche nell’intelligenza artificiale, il che amplifica ulteriormente le disuguaglianze nella nostra società. Come invertire questa tendenza? Migliorando la base dati su cui vengono settate le tecnologie. Il tema del data diversity deve diventare centrale nell’agenda, altrimenti le tecnologie non faranno che accrescere le disuguaglianze che già viviamo”
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