“Change the code, not the climate”. Cambiare il codice di Bitcoin per salvare il clima
“Cambiamo il codice, non il clima”. E’ questo lo slogan usato da Greenpeace e dall’Enviromental Working Group per lanciare la campagna “Change the code“.
Il codice da cambiare è quello di Bitcoin, criptovaluta e sistema di pagamento che si sta diffondendo sempre più negli ultimi anni. Perché è decentralizzato, ultra sicuro, e capace di garantire agli investitori, pur nell’estrema volatilità, enormi ritorni (3% negli ultimi 5 anni) sull’investimento iniziale.
Eppure Bitcoin ha un grande tallone di Achille: inquina moltissimo. Le operazioni tecnologiche necessarie alla produzione di un Bitcoin (in gergo mining) sono garantite dalla capacità di calcolo dei tanti computer che fanno parte della rete peer to peer che fa funzionare il sistema, e tutte quelle Cpu e Gpu che funzionano a pieno regime consumano energia e, di conseguenza, producono CO2.
Come fare per risolvere il problema? Secondo la campagna Change the code la soluzione è quella di mettere mano al codice sorgente di Bitcoin.
Un’esigenza che si sta trasformando in urgenza visto che il sistema Bitcoin ad oggi consuma più elettricità dell’intera Svezia, e le previsioni danno l’utilizzo di questa criptovaluta in costante crescita. “Bitcoin will drive devastating climate impacts”, Bitcoin avrà impatti devastanti sul clima, lanciano l’allarme gli ambientalisti.
Anche perché più si sviluppa la rete più energia viene convogliata sulle operazioni di mining, e spesso questa energia è prodotta con fonti fossili. Negli Usa, nello Stato della Pennsylvania, una società che produce Bitcoin ha addirittura comprato una centrale a carbone per alimentare i propri server.
Il mining virtuale si è trasformato in una vera e propria attività estrattiva a base di fonti fossili ultra inquinanti.
Bitcoin, spiegano dalla campagna Clean up the code, usa una tecnologia ormai obsoleta chiamata Proof-of-Work (PoW) per validare le sue transazioni. Un protocollo che ha bisogno di grandi quantità di capacità elaborative, e di conseguenza di energia.
Modifiche basiche al codice che sta al cuore di Bitcoin potrebbero ridurre il consumo di energia del 99%.
Si può fare? C’è chi lo sta già facendo, ad esempio la comunità di sviluppatori che si occupa di un’altra criptovaluta meno conosciuta, Ethereum. Gli sviluppatori di Ethereum hanno programmato una transizione tecnologica che consentirà di abbattere i consumi. Il passaggio è quello dalla tecnologia PoW, attualmente usata anche da Ethereum, alla molto meno impattante Proof-of-Stake (PoS). La stessa cosa potrebbe farla Bitcoin.
“Se solo 30 persone nei ruoli chiave della comunità di Bitcoin, miners, investitori, sviluppatori, trovassero un accordo per abbandonare il protocollo Proof-of-Woork in favore di una tecnologia a basso impatto, Bitcoin smetterebbe di inquinare il pianeta”.
Se è così semplice, se altre valute lo stanno facendo, “perché Bitcoin non sta già cambiando il suo codice?”.
L’invito è anche a personaggi che sul mondo Bitcoin hanno più che un ascendente. Elon Musk di Tesla e Jack Dorsey, fondatore di Twitter. Oppure ancora le grandi banchi che su Bitcoin hanno già investito, come Goldman Sachs e il fondo di investimento BlackRock.
“Il pianeta non può pagare per il futuro di questo sistema di pagamento”, dicono gli ambientalisti.
Critiche alla proposta arrivano però dal mondo degli sviluppatori Bitcoin. Fortune ha riportato una serie di opinioni contrarie alla proposta di sostituire l’algoritmo PoW. “Non succederà”, ha scritto la testata nel titolo citando tra l’altro un articolo di Bloomberg. Nel pezzo viene spiegato come ogni modifica al codice di Bitcoin abbia bisogno del consenso della maggioranza degli sviluppatori, e questo consenso è difficile da raggiungere in breve tempo. Inoltre le modifiche tecniche sarebbero complesse e richiederebbero anni di lavoro e attività di testing. Tra le ipotesi anche un hard fork, la creazione cioè di una copia “parallela” di Bitcoin basata su una tecnologia meno impattante della PoW. Scenari complessi secondo gli esperti, considerando che la tecnologia alla base della filosofia di Bitcoin è proprio l’attuale Proof-of-Work.
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