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Impact 4 Prosperity. Cos’è l’impatto, e come si fa in Italia?

Innovazione e impatto, what now?”, questo il titolo del primo talk del ciclo “Impact 4 Prosperity”. Un modo per immaginare un business un-usual e promuovere una nuova idea di impresa capace di generare prosperità condivisa nel rispetto dei limiti ambientali e sociali.

Gli ospiti di “Innovazione e impatto, what now?” sono stati il prof Mario Calderini, portavoce del progetto Torino Social Impact e docente al Politecnico di Milano, Alice Molta di Impronta Etica, Claudia Laricchia di Future Food Institute e il direttore di Change Makers Magazine Piero Ingrosso

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“Siamo ormai alla fine di quella che possiamo considerare la prima fase della sostenibilità in Italia, un primo tempo che ha visto tanta attività di advocacy – ha spiegato il prof Mario Calderini – Adesso che tutti o quasi hanno capito che la sostenibilità è importante bisogna necessariamente fare un passo avanti: dall’awareness all’azione trasformativa e generativa. In sintesi bisogna iniziare a parlare di impatto, che deve essere misurabile, intenzionale e addizionale. Misurabile perché ho bisogno di un sostegno metrico per quantificarlo, intenzionale perché deve essere progettato ex ante, addizionale perché devo sapere che un’unità di impatto produrrà o potrebbe produrre un profitto minore. Come fare i conti con questa realtà? Attraverso l’innovazione di prodotto, ed è qui che innovazione e sostenibilità diventano sinonimi. Un esempio: se sono un’assicurazione che trattamento riservo a, poniamo, personale con gravi e croniche forme di diabete? Posso decidere di continuare a parlare di sostenibilità generica e non assicurarli, oppure posso fare impatto e trovare un modo, grazie a nuove tecniche diagnostiche ad esempio, di assicurarli ampliando il perimetro degli assicurabili. Fare impatto è fare questo”

“E’ tempo di trasformare l’informazione e la consapevolezza in azione – ha detto Claudia Laricchia del Future Food Institute – Siamo già ampiamente consapevoli del tempo che stiamo vivendo, in termini di crisi climatica e di necessità di adeguarci a nuovi modelli e metriche. Come si può fare impatto? Introducendo modelli generativi e non conservativi. Al Future Food Institute utilizziamo il prosperity thinking mettendo al centro il pianeta e le sue necessità. Bisogna passare dal quel che le persone vogliono a quel che serve alla terra e alle sue scarse risorse. Il trade off potrebbe essere dunque quello di operare avendo in mente modelli di ecologia integrale. Noi collaboriamo con tante aziende, e allora se dovessi fare un esempio potrei dire che un modo banale per fare impatto potrebbe essere quello, nel caso di un ristorante o una mensa, di creare un menù con indicati non solo i prezzi delle pietanze ma anche il loro impatto ambientale, in termini di emissioni di CO2 o di consumi di acqua”. 

“Sul tema dell’impatto dobbiamo fare i conti con rischi e sfide a volte interconnesse e imprevedibili – ha spiegato Alice Molta di Impronta Etica – La pandemia ha inoltre evidenziato una grande fragilità dei nostri sistemi, che dopo tutto era un dato già presente. Per questo, se parliamo di impatto e trasformazione, dobbiamo affrontare la transizione in maniera comune e coordinata. L’obiettivo deve essere quello di reinventare il capitalismo, renderlo capace di generare prosperità. Come fare? Serve un cambio profondo di mentalità, una nuova ottica per essere resilienti, un modo di agire nel concreto avviando la trasformazione. Per farlo bisogna coinvolgere gli stakeholder su tutti i livelli, così come lavorare attraverso partnership. Ma sappiamo anche che ci sono dilemmi e contraddizioni con cui imparare ad avere a che fare. Sul tema della digitalizzazione ad esempio abbiamo capito che serve prima di tutto un cambio di passo culturale, ma attenzione: anche questa innovazione potrà avere effetti o esternalità negative. Smettere di produrre documenti su carta è un risparmio che va in direzione della tutela dell’ambiente, ma anche il mondo digital ha un suo impatto in termini di CO2. Semplificando anche una mail può inquinare”. 
“Legacoop ha dato vita assieme all’Università di Bologna ad Almavicoo, un’associazione che ha come obiettivo quello di fare lavorare assieme le imprese cooperative con l’ateneo, con modalità di open innovation, percorsi di ricerca e attività congiunte – ha spiegato Piero Ingrosso, direttore di Change Makers Magazine – Proprio da questa esperienza è nato Change Makers, una sperimentazione che racconterà le idee e le storie di chi lavora per generare impatto. Change Makers sarà un modello di azione giornalistica che, in alcuni casi, potrà diventare anche azione trasformativa. Il nostro racconto sarà sempre trasparente, indicando i successi e quando ci sono anche gli insuccessi, mai in maniera celebrativa ma andando invece ad analizzare e confrontare le esperienze più interessanti. Abbiamo raccontato i Wbo, modi di rigenerare imprese che il capitalismo avrebbe altrimenti condannato alla morte, ma a noi di Change Makers Magazine interessano anche le startup, perché ormai siamo fuori dal mito della Silicon Valley. Chi crea una startup ha un profondo intento trasformativo, e noi pensiamo che la cooperazione possa essere tra gli attori di questo nuovo ecosistema che si sta formando”.

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