Abitare l’emergenza. La mancanza di casa a Bologna
“Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla”. Martin Luther King
Come sono cambiati i modi di abitare delle persone? Come potrebbero cambiare in futuro? E come possiamo influenzare positivamente queste trasformazioni? All’interno del festival itinerante Cara Casa, il convegno “Abitare l’emergenza – istituzioni e responsabilità sociale” il 28 aprile ha portato a Bologna una riflessione ampia sulle emergenze di oggi e le nuove forme dell’abitare che potrebbero risolverle, attraverso una visione plurale e allo stesso tempo condivisa. Una costante per la (ri)definizione di un modello di città aperta, solidale, accogliente e sensibile ai molteplici problemi della sfera dell’abitare. In quale direzione stiamo andando e quali modelli di città intendiamo mettere in atto?
Ne hanno parlato Emily Clancy, vicesindaca del Comune di Bologna, il cardinale Matteo Zuppi, Rita Ghedini, presidente di Legacoop Bologna, Marco Filippucci, presidente dell’Ordine degli Architetti di Bologna, Nicola De Luigi, ricercatore dell’Università di Bologna, Giovanni Ginocchini, rappresentante di Fondazione Innovazione Urbana, Alberto Zanni, presidente di Confabitare, Andrea Giagnorio, referente di Libera Bologna, Marco Bertuzzi, presidente di Acer Bologna, e Francesco Miceli, presidente di Cnappc. A moderare c’era Jacopo Gresleri, docente del Politecnico di Milano.
Le politiche abitative a scala locale
Emily Clancy – Comune di Bologna
La casa finalmente è diventata centrale nel dibattito pubblico, ma fino a qualche anno fa non lo era. Ecco perché ci troviamo qua oggi: Bologna è una città ancora attrattiva, sia in termini di occupazione, di imprese, che di studenti e di turisti. C’è un saldo positivo in città, in controtendenza rispetto a quello che avviene a livello nazionale. Eppure oggi siamo davanti a un bivio: come fare ad accogliere le nuove persone che arrivano, senza espellere chi è più fragile?
A Bologna il 62% dei cittadini è proprietario, mentre il resto lotta per ottenere una casa in affitto a prezzi accessibili. Per questo abbiamo messo in piedi un piano per l’abitare, che come risorse è l’intervento più significativo degli ultimi decenni. L’idea è di stanziare risorse a lungo termine, perché la questione abitativa non è più un’emergenza, ma qualcosa di strutturale.
In cosa consiste questo piano? In primis puntiamo su nuovi strumenti di governance: stiamo creando un’agenzia sociale per l’affitto, con sei milioni di euro di finanziamento. Poi stiamo attivando un fondo per costruzione di nuova edilizia sociale. E avremo un nuovo osservatorio comunale sul tema abitativo: fino adesso sono stati pubblicati molti dossier, che però vanno messi insieme, e poi bisogna commissionare nuove ricerche.
Uno degli ambiti su cui puntiamo è la creazione di un’offerta di edilizia sociale pubblica, indirizzata alla fascia grigia: chi non riesce a pagare un affitto ma non è abbastanza fragile da entrare in una casa popolare. Stiamo avviando progetti al Lazzaretto, al Ravone, alla Stamoto…
Serve però una linea di investimento strutturale da parte del governo centrale, perché il Comune può fare questo sforzo una volta, non per sempre: per questo abbiamo indirizzato al governo nazionale cinque proposte comuni insieme ad altre dieci città, per mettere a punto un piano casa con fondi strutturali e non episodici.
Il contributo della cooperazione dell’abitare
Rita Ghedini – Legacoop Bologna
Come Legacoop storicamente aggreghiamo cooperative che con il tema della casa relazionano da molti punti di vista. Una parte importante del patrimonio abitativo di questo territorio è stata costruita dalla cooperazione degli abitanti, quasi sempre in periodi di emergenza: all’inizio del Novecento, nel dopoguerra, e poi nel boom economico per costruire case agli operai. Negli ultimi anni, l’emergenza sanitaria ha portato all’accelerazione di moltissimi nodi che già caratterizzavano la nostra economia: perché di fronte a questa nuova emergenza non riusciamo più a dare risposte?
In primis, conta l’assenza da decenni di politiche pubbliche strutturate per l’abitare. L’ultimo piano casa a livello nazionale risale a più di 30 anni fa. Dopodiché ci sono stati solo alcuni programmi di intervento di carattere regionale, e interventi su specifiche emergenze a livello comunale.
Eppure, non possiamo disinteressarci del problema: la casa fa parte di quell’idea di bene comune che si iscrive all’interno di diversi articoli della nostra Costituzione. Il diritto alla casa correla al diritto all’uguaglianza, all’inclusione, al lavoro, allo studio.
Oggi bisogna assumere una prospettiva multidimensionale, che ha a che fare con il mutamento delle condizioni di vita nelle nostre società, un mutamento che coinvolge sfere diverse e che è sempre più veloce: siamo quindi di fronte a emergenze multiple. La digitalizzazione sta cambiando i modi di produrre e di relazionarci. L’emergenza ambientale non può più essere ignorata. E poi c’è l’emergenza abitativa, che fa parte di questo contesto.
Con Legacoop, stiamo provando a mettere insieme competenze diverse e settori diversi: cooperative di costruzione, cooperative sociali, cooperative di architetti… L’obiettivo è coniugare diverse capacità di lettura e capacità di progettare. Se non riusciamo a costruire una dimensione cognitiva diversa, non potremo trovare nuove risposte.
Le case popolari oggi
Marco Bertuzzi – Acer Bologna
Per anni, il tema della casa non è stato centrale del dibattito pubblico. Oggi la questione finalmente torna al centro: c’è molta più consapevolezza. Noi cosa chiediamo ai progettisti? Velocità. Velocità. Velocità. Acer Bologna gestisce 19mila alloggi nella città metropolitana, e attualmente ci sono quasi 70 cantieri attivi. Questi progetti vanno realizzati tutti nello stesso arco temporale: le opere finanziate dal Pnrr devono essere concluse entro giugno 2026.
La sfida è quella di riuscire a garantire contemporaneamente qualità e bellezza, e allo stesso tempo garantire che il progetto sia realizzato in tempo e rispettando le spese preventivate. Come fare? Non ci sono risposte precostituite. Attualmente nel comune di Bologna abbiamo 5.300 nuclei che aspettano una casa pubblica. L’offerta si deve adeguare: servono nuove case, che vanno costruite, oltre che ristrutturate.
Studentati e affitti
Nicola De Luigi – Unibo
Questa città ha vissuto momenti importanti di sviluppo grazie all’università e grazie alle tante imprese del tessuto produttivo locale, oltre che grazie al turismo. Proprio in conseguenza di questi tanti successi, oggi si stanno creando diversi problemi. Come affrontarli? Lavorando collettivamente. Questa città attrae tanti studenti, e gli studenti sono persone che non si limitano a stare chiusi nelle aule: quando escono, spesso sono visti come un problema. Pensiamo alla questione della notte, o alla questione dell’accesso alla casa. Oggi che il turista è considerato più “conveniente” rispetto allo studente, in termini di affitto, e per questo ci ritroviamo con molti studenti in emergenza abitativa, che non trovano casa.
In Italia abbiamo 400mila fuorisede, su un milione 800mila studenti totali. I posti alloggio pubblici sono circa 50mila: troppo pochi per rispondere alla domanda. Francia e Germania ne hanno quattro volte tanto, a parità di popolazione universitaria. Il budget messo a disposizione del PNRR è di 960 milioni di euro sul tema dell’housing studentesco, per arrivare a 100mila posti entro il 2026, ma ci sono alcuni elementi contraddittori. Una quota consistente di questa somma (660milioni di euro) andrà a costituire un fondo per l’housing studentesco che sarà indirizzato agli enti privati: questi ricevono il 75% del budget per costruire studentati, più hanno sgravi fiscali e un sostegno per tre anni per gestire le strutture. Quello che manca è una regolazione sui canoni di affitto: non c’è un tetto massimo alle tariffe. E allora questo meccanismo come potrà garantire un calmieramento degli affitti?
Attualmente gli studenti sostengono il loro percorso di studio tramite l’ammortizzatore sociale principale del nostro paese: la famiglia. Questo è un problema: il concetto di meritocrazia svanisce, il merito è solo quello di avere una famiglia alle spalle in grado di sostenere i costi di accesso all’università. Ormai studiano solo coloro che hanno le risorse per farlo: il diritto allo studio non viene garantito, e diventa un servizio discrezionale.
In Italia, in due casi su tre lo studente si iscrive vicino a casa, contro una media europea di uno su tre. La maggior parte degli studenti fuorisede per trovare casa si affida al mercato privato dell’affitto. Ci sarebbe il canone concordato, una misura che però fatica moltissimo. E poi mancano le residenze universitarie, il che fa sì che chi proviene da una situazione svantaggiata non vada a studiare lontano da casa.
L’università di Bologna è peculiare rispetto alle altre, perché attrae una quota superiore di studenti fuorisede. Su 90mila studenti (70 mila solo in città), 40mila sono fuorisede, uno su dieci è di cittadinanza straniera, e cinquemila sono Erasmus. In generale, gli studenti sono sempre meno disposti a vivere in case fatiscenti, a volte in subaffitto, pagando cifre comunque alte. Come può affermarsi Unibo come polo che attrae studenti stranieri, se non ci sono posti alloggio per accogliere dignitosamente queste persone?
Sette studenti su 10 vivono in centro. E in centro si concentrano anche la maggior parte degli appartamenti messi a disposizione per le locazioni brevi. Che idea di centro storico vogliamo costruire? Siamo ancora in tempo per bloccare i processi di gentrificazione del centro storico. Il numero di case su Airbnb nel centro storico a Bologna è intorno al 4%, a differenza di città come Firenze (26%) e Venezia (12%). Abbiamo ancora tempo per decidere che destino dare alla nostra città.
Il ruolo del privato nell’emergenza abitativa
Alberto Zanni – Confabitare
Oggi ci sono migliaia di alloggi sfitti a Bologna. Alcuni sono pubblici, molti sono privati. Dobbiamo chiederci: perché i proprietari non affittano casa? Perché mancano leggi sulla casa. E le misure che ci sono danneggiano i proprietari. Pensiamo al blocco sfratti in pandemia, alla pressione fiscale sulla casa, e al tema della morosità, che è un carico che viene lasciato sulle spalle del proprietario. Bisogna chiedersi perché i proprietari optano per gli affitti brevi. Con l’affitto breve non hai morosità, e non rischi occupazioni. Serve una seria politica abitativa strutturata, con un piano casa sia a livello nazionale che locale, che tuteli gli inquilini ma anche i proprietari.
Riabitare gli spazi confiscati
Andrea Giagnorio – Libera Bologna
La nostra associazione ha come obbiettivo il contrasto alle mafie, la legalità, ma anche la giustizia sociale e il contrasto alle disuguaglianze, perché nelle disuguaglianze le mafie sguazzano. Il termine “legalità” va accostato all’aggettivo “democratica”. Noi lavoriamo sui beni confiscati alla criminalità organizzata: oggi in Italia ci sono 23mila beni confiscati, di cui 14mila riutilizzati, soprattutto con obiettivi sociali. Campi, aziende, case, oggi trovano nuova vita. Vengono assegnati ai comuni, che possono darli in gestione a cooperative o associazioni.
A Bologna città metropolitana ci sono solo 26 beni confiscati, è ancora una nicchia. A Milano, sono 224 le case confiscate riassegnate a uso abitativo. I beni che sono facilmente riutilizzabili vengono tenuti dallo stato: non sono riutilizzati a uso sociale, ma restano appartamenti a uso delle forze dell’ordine. Si perde così la connotazione simbolica che i beni confiscati hanno nelle città, e il significato di riscatto che possono avere per i cittadini.
A Bologna le mafie strisciano ancora sottotraccia, sono normalizzate: avere un bene confiscato riutilizzato permetterebbe di vederle, di rendersi conto che il fenomeno esiste anche da noi. I beni più “complicati” da riutilizzare invece vengono messi a disposizione dei comuni e poi delle associazioni: oggi a Bologna l’unico bene che il comune ha ottenuto per il riutilizzo sociale a è Villa Celestina. Il costo della ristrutturazione è di 6 milioni di euro, per realizzare 11 appartamenti: è un investimento enorme. È chiaro che c’è un problema.
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