fbpx

Greencome. Il new media che contrasta l’eco-ansia con le buone notizie

Cambiare la comunicazione catastrofista sulla sostenibilità e il cambiamento climatico attraverso le storie dei protagonisti della green innovation, per contrastare immobilismo e eco ansia.
È l’obiettivo di Greencome, new media verticale sulle tematiche ambientali, formato da un team under 26 che sarà tra i protagonisti del festival Cambiamenti, il 7 e 8 ottobre presso Dumbo, in un incontro di Impact4Prosperity organizzato in collaborazione con Change Makers Magazine.

Ne abbiamo parlato con il co-fondatore Duccio Travaglini

Come nasce Greencome?

L’idea è nata da me e da alcuni miei compagni e compagne all’Università di Economia politica e dell’ambiente di Torino. Stavamo studiando tematiche legate alla sostenibilità ambientale e al cambiamento climatico, ma volevamo anche iniziare a lavorarci. Conoscevamo tantissimi canali di informazione e di divulgazione, tra media tradizionali, pagine e influencer, ma ci siamo resi conto che per lo più veniva fatta una comunicazione che secondo noi si portava dietro dei problemi.

Una comunicazione particolarmente aggressiva, catastrofista, allarmista. Il che è assolutamente comprensibile, perché chiaramente non ci troviamo in una situazione rosea, tutt’altro. Però contemporaneamente abbiamo iniziato a chiederci, quali benefici e quali problemi questo tipo di comunicazione portava.

E abbiamo capito che effettivamente tutto questo portava a fenomeni di eco-ansia e di eco-paralisi. Una situazione in cui le persone perdono qualsiasi tipo di speranza e quindi non si mettono più in azione. Una sorta di immobilismo. Che significa che magari invece di prendere la bicicletta per fare un’azione green prendo il motorino perché di tanto ormai mi hanno detto che la situazione è disastrosa.

Quello che noi vogliamo combattere è proprio questo immobilismo. 

E come si fa?

Iniziando a comunicare questi temi in un modo diverso. Siamo partiti un po’ per gioco con un podcast nel quale intervistiamo figure dell’ambito della Green Innovation che potessero essere degli esempi virtuosi di change makers, che potessero far tornare la speranza e dimostrare che effettivamente si poteva fare qualcosa di positivo in questi ambiti.

Dopodiché si è creata effettivamente una community interessante intorno al podcast, e quindi abbiamo detto ok, proviamo ad allargare questo piccolo progetto in qualcosa di più concreto, qualcosa che affrontasse questi temi a 360 gradi.

E quindi stiamo costruendo una società media verticale sulle tematiche green, che è anche il primo new media italiano verticale sulle tematiche di Green.

New media, nel senso che non è una testata giornalistica che ha anche dei canali social, ma che nasce direttamente sui social.

Cosa vi differenzia da un media come LifeGate che parla di tematiche ambientali?

LifeGate è una realtà che produce tantissimi contenuti interessanti ma rispetto a noi ha un approccio più istituzionale, con molti contenuti di condanna, che sono a volte anche particolarmente aggressivi e catastrofisti. Con catastrofist non intendo necessariamente una cosa negativa, ma per noi lo diventa quando però alla fine del contenuto non si cerca di dare delle soluzioni o comunque il modo di far tornare la speranza alle persone a cui sto dando notizie negative.

Se c’è una notizia negativa, c’è anche uno spazio di manovra per migliorare la situazione. Una cosa che noi facciamo spesso è cercare di equilibrare notizie positive e negative. Anche se chiaramente ci sono più notizie negative, noi facciamo uno sforzo per fare in modo di comunicarle più o meno la stessa, la stessa quantità.

Da quante persone è composta la squadra? 

Siamo tre soci fondatori, più una decina di altre persone, quasi 15 in realtà. Perché sono entrati ora tre collaboratori volontari che ci danno una mano nel progetto. Si è creato davvero un bel clima.

L’età media età è meno di 25 anni. Siamo quasi tutti studenti più qualche lavoratore. Io sono il più vecchio e ho 26 anni.

Oltre ai contenuti social vi immaginate anche dei progetti on life?

Sicuramente adesso vogliamo concentrarci sui social, perché ci sono ancora tante cose da migliorare. Ma quello che vogliamo fare dopo è anche comunicazione offline, cioè creare eventi, incontrare la nostra community, rapportarci con loro, capire veramente chi sono e farci dare dei feedback.

Vogliamo creare una community forte e coesa su questi temi.

Ci racconti due storie importanti che avete raccontato nei vostri canali?

La prima sicuramente quella di Paolo Fanciulli, un pescatore toscano che per combattere la pesca a strascico illegale che stava distruggendo i fondali a largo di Talamone, in Maremma, 

ha fatto una partnership con degli artisti, ha preso delle statue e le ha posizionate sui fondali marini, impedendo così ai pescatori fare la pesca a strascico.

Questo, secondo noi, è stato un messaggio molto ispirante. Che è piaciuto alla nostra community perché fa vedere come il singolo, con un atto di ribellione non violenta, può effettivamente fare la differenza.

La seconda storia è quella di un giovanissimo ragazzo che ha dato vita a una ong che tramite  un sistema di reti che si allungano tra una nave e l’altra vuole raccolgiere tutta la plastica dalle isole di plastica che si formano nei mari.

Un metodo che tra l’altro permette di raccoglierla senza prendere i pesci. 

Poi la caricano, la portano nei porti e ci fanno degli oggetti, come degli occhiali.

Domenica parteciperai a un panel di Impact4prosperity in collaborazione con Change Makers Magazine all’interno di un evento che si chiama Cambiamenti e che pone l’accento proprio su un cambio di paradigma nel modo di pensare delle persone. Quali sono secondo te le maggiori resistenze per un reale cambio di paradigma nella sostenibilità?

Dal mio punto di vista, quello che è importantissimo oltre all’informazione è la sensibilizzazione, perché un media che fa soltanto informazione fa un lavoro a metà. Ci sono molte persone che sono informate su un determinato tema, ma non sono sensibili. 

Pensa a un tema come quello della produzione di carne rossa. Tutti o quasi ormai sono informati sull’impatto negativo che ha, ma quanti hanno deciso effettivamente di smettere di consumarla o di ridurre il consumo?  

Pochissime. E questo perché non sono stati sensibilizzati a tal punto da mettersi in azione per cambiare il proprio stile di vita. 

Quindi quello che noi stiamo provando a fare, oltre ad informare, è sensibilizzare.

E una parte importante per la sensibilizzazione è il coinvolgimento e il dare speranza. Perché se tu arrivi a gamba tesa da una persona e gli dici “ehy, stiamo distruggendo il pianeta, la Terra sta bruciando e se non cambi il tuo modo di agire è un casino”, lui se non ha già una sensibilità sul tema, prende e va via. 

Se invece riesci ad approcciarti in un modo un pochino più soft  a coinvolgerlo e a mostrargli lo spazio per provare a fare qualcosa, è più facile che questa persona si sensibilizzi.  

Ovviamente non dico che un approccio più aggressivo sia del tutto inutile. È molto importante, magari per chi è già sensibile e quindi deve mettersi più in azione, ma per chi non è ancora sensibile crea l’effetto opposto.

Quindi le azioni più eclatanti di Ultima generazione sono dannose dal tuo punto di vista? 

L’obiettivo che abbiamo è comune, quello che ci differenzia è il mezzo. 

Io assolutamente non voglio denigrare il loro operato e anzi capisco anche tutto il loro malessere e la loro preoccupazione.

Quello che noi pensiamo è che il mezzo che utilizzano non sia efficace o perlomeno non sia efficace a coinvolgere chi non è già sensibile. Perché quello che arriva in auto, tutto incazzato che già non è sensibile, non crede fra virgolette ai cambiamenti climatici o comunque non è così tanto interessato. Se gli fermi, la strada, quello il giorno dopo è ancora più incazzato ed è ancora meno vicino alla tua causa.

Secondo me le loro azioni polarizzano e non avvicinano le persone, quando invece la chiave per arrivare a una situazione di efficienza collettiva è la cooperazione. Senza cooperazione non si può arrivare a situazioni di efficienza collettiva.

Domenica a Cambiamenti, insieme a Chiara Ramozzi di ZeroC02 parlerai di eco-ansia e eco-paralisi. Come si combatte?

Io non mi sento di dare delle soluzioni sul tema dell’eco-ansia perché è un tema che è giusto, che trattino gli psicologi. Sicuramente io posso dire, dal mio punto di vista, quali possono essere le cause, che sono appunto la costruzione di una bolla informativa catastrofista sulle tematiche climatiche e ambientali. Ovviamente le cattive notizie fanno più audience e tutti hanno urgenza di comunicare subito l’evento catastrofico, e non c’è mai un attimo di analisi su come quella notizia potrebbe essere percepita, quali possono essere le conseguenze, anche indirette.

E quindi quello che noi stiamo cercando di fare è provare a comunicare in un modo un pochino più soft, positivo, propositivo e cercare di affermarsi come realtà che evidenzia soprattutto le notizie positive.

Anche se questo può significare a volte essere penalizzati dall’algoritmo

Infatti il problema fondamentale per chi produce contenuti informativi credo sia questo. Dai palinsesti televisivi fino ai creator. La polarizzazione fa audience e l’audience significa investimenti e pubblicità, che garantiscono la sostenibilità economica del mezzo di informazione. Come si esce da questa impasse?

Ma guarda, ci stiamo rendendo conto, data anche la crescita che stiamo avendo, che alle persone piace anche sentire queste notizie, ne hanno veramente bisogno. Il nostro punto di vista differente, sembra che piaccia e ci dicono grazie.

Ti faccio un esempio di un contenuto che abbiamo messo in evidenza su Tik Tok. E’ un carosello con una sequenza di Before/After. Dove l’After è meglio del Before grazie, ad esempio ad una riqualificazione o un progetto di ripristino ambientale. 

Questo è un contenuto che ha avuto qualcosa tipo 2 milioni di visualizzazioni e ha generato  tantissimi commenti, tra cui tantissimi che ci ringraziano e ci dicono che è assurdo non vedere belle notizie come queste.

Reazioni come questa, ci hanno fatto capire che effettivamente così le persone hanno bisogno anche di quella roba lì.

Change-Makers è il magazine digitale che racconta idee, storie, protagonisti del cambiamento. Scriviamo di cooperazione e innovazione sociale, ambientale, economica, digitale, organizzativa, etica e filosofica.
Se vuoi restare in contatto con noi iscriviti alla nostra newsletter.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Cerca nel sito