Impact 4 Prosperity. Tassonomia europea e sustainability manager
Cos’è la tassonomia europea? Perché è importante? Cosa fanno i sustainability manager? Questi gli argomenti del settimo talk del ciclo di Impact 4 Prosperity.
A discuterne, moderati da Giacomo Venezia, sono stati Marie-Louise Møller di Aquaporin, Alberto Garagnani di Jokr e Andrea Pesce di ZeroCO2.
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Marie-Louise Møller lavora nella danese Aquaporin, società che si definisce una “water tech company” focalizzata sulla progettazione di soluzioni innovative di filtraggio basate sull’acqua e su tecnologie naturali.
Møller ha spiegato cos’è la “Eu taxonomy for sustainable activies“. In sostanza un sistema di classificazione europeo che indicherà con trasparenza quali investimenti saranno sostenibili dal punto di vista ambientale all’interno del Green New Deal dell’Unione Europea.
“Un tema complesso e molto tecnico – ha spiegato – ma che si occupa di dare una cornice alla domanda principale legata alla sostenibilità, e cioè: se sostenibilità significa dare risposta ai bisogni del presente senza mettere in pericolo i bisogni delle generazioni future, che cosa sono i bisogni?”.
Per Møller la Tassonomia Eu è dunque un “living dictionary”, un dizionario che sarà sempre aggiornato e che, con i suoi criteri, dirà cosa è sostenibile e cosa non lo è. “Un modo per combattere il greenwashing”.
Come funzionerà? Attraverso una serie di criteri basati su sei obiettivi ambientali: mitigazione del cambiamento climatico, adattamento al cambiamento climatico, uso sostenibile dell’acqua e delle fonti marine, transizione verso un’economia circolare, prevenzione e controllo dell’inquinamento e protezione e ripristino della biodiversità degli ecosistemi. Per rientrare nella tassonomia un’attività economica dovrà dimostrare di dare un sostanziale contributo ad uno dei sei goal e, nello stesso momento, di non avere un impatto negativo sui restanti cinque. La formula inglese è “do no significant harm”, DNSH.
Per Møller tutti gli investitori e le grandi compagnie nei prossimi anni terranno conto della Tassonomia europea, e per questo anche i sustainability manager dovranno occuparsi sempre di più del tema, assieme ad altre sfide come quelle della parità di genere e dell’inclusione. “In Danimarca – ha concluso – le aziende sul tema dell’ambiente fanno bene e in fretta, perché i risultati sono misurabili. Sugli altri temi legati alla sostenibilità c’è invece ancora da lavorare”.
Andrea Pesce è co-founder di zeroCO2, società benefit certificata B Corp che si occupa di piantare alberi in tutto il mondo. Operazioni di riforestazione con un impatto ambientale e sociale positivo, essendo legate al tema delle comunità e della consapevolezza ambientale. I numeri: in due anni zeroCO2 ha piantato 400 mila alberi e formato 40 mila contadini.
“Abbiamo lavorato in tanti paesi del mondo – ha spiegato Pesce – Non piantiamo semplicemente alberi ma uniamo questa attività a progetti di supporto economico e di formazione ai contadini. Lavoriamo in Patagonia, Tanzania, Guatemala e in altre zone del mondo, Italia compresa. Quello che noi mettiamo al centro sono le persone, ed è proprio per questo che ci occupiamo non solo di alberi ma di sostenibilità e impatto”.
Pesce ha raccontato la tecnologia sviluppata da zeroCO2: si chiama Chloe ed è un sistema di tracciamento via Gps che consente di tenere costantemente traccia degli alberi piantati e monitorarne la crescita. “Questo è uno dei modi che abbiamo per promuovere il valore della trasparenza, che per la nostra azienda è importante perché dà agli investitori la possibilità di ‘guardare’ dentro al nostro business, vedere cosa facciamo davvero e come lo facciamo”.
Altro driver di azione di zeroCO2 è quello dell’awareness, del creare cioè sempre più consapevolezza rispetto ai temi ambientali. “Che sia un articolo o un ciclo di podcast – spiega Pesce – ci occupiamo di diffondere e trasmettere informazioni scientifiche rispetto a quel che facciamo e ai temi ambientali”.
Per questo zeroCO2 organizza anche confronti con studenti e scuole, “un altro canale per aumentare la consapevolezza rispetto ai temi della sostenibilità e dell’ambiente. In generale noi di zeroCO2 crediamo che la sostenibilità diventerà a breve un fattore diffuso nell’industria, una presenza fissa nell’ecosistema economico. Serviranno sempre più persone capaci di sapere come si fa sostenibilità, figure trasversali, competenti e preparate sull’argomento”.
Manca ancora molto all’obiettivo però. Secondo Pesce sono poche le piccole imprese che hanno un sustainability manager. “Parlando dell’Italia posso dire che solo il 5-10% delle realtà con cui collaboriamo dispone di una figura di questo tipo così importante per la transizione dell’azienda. Il fatto è che le Pmi hanno più difficoltà in termini di budget e di innovazione, però è fondamentale che anche loro saltino a bordo”.
Alberto Garagnani è sustainability manager a Jokr, unicorno (valutazione sopra il miliardo di dollari prima della quotazione in borsa) tedesco di Speedy Delivery Grocery.
Jokr si descrive come una piattaforma di consegne instantenee a domicilio di frutta e verdura, ma anche di farmaci e prodotti locali che non sono presenti nei supermercati. Cosa vuol dire fare il sustainability manager per una startup come Jokr con un tasso importante di crescita?
“Quello che fa un manager della sostenibilità è dare concretezza ad un approccio: prendendo seriamente il tema, facendo crescere la sostenibilità tutti i giorni in azienda e rispettando le scadenze”. Per Garagnani il sustainability manager deve avere un mix di competenze: dalla capacità di gestire un progetto e portarlo a termine all’abilità nella produzione di reportistica. Tra gli skill ci sono anche la comunicazione e il management in generale. “Servono persone che siano in grado di prendere in mano un’idea di progetto, che si parli di pannelli solari o di zero waste poco importa, e portala nella realtà”.
Un esempio? Jokr è riuscita a mettere in atto una strategia di rifiuti zero. “Il manager della sostenibilità è in grado di creare le condizioni per cui un’azione di questo tipo sia scalabile e possa crescere al crescere dell’azienda”. Così Jokr è potuta passare da 3 hub a 200, mantenendo l’obiettivo dei rifiuti zero.
“Essere capaci di scalare le iniziative di questo tipo è il nostro obiettivo, ma il sustainability manager deve anche fare altre cose: disegnare la strategia di sostenibilità ovviamente, capire come inserire le varie iniziative nella strategia, essere seri rispetto alle scadenze, prevedere budget chiari, abbinare quanto più possibile la sostenibilità ambientale a quella economica. Ad esempio in Jokr abbiamo deciso di passare alle energie rinnovabili in un anno e mezzo massimo. L’impegno ora è rispettare questa scadenza”.
In futuro, ragiona Garagnani, “gli studenti di economia dovranno iniziare a pensare alla sostenibilità tanto quanto già oggi si preoccupano di fare business. La sostenibilità avrà la stessa pervasività della transizione digitale avvenuta negli anni scorsi. Riguarderà tutti gli aspetti dell’azienda. Come tendenza futura potrebbe arrivare un momento in cui non ci sarà più bisogno di un sustainability manager, perché quella della sostenibilità sarà una mentalità integrata e diffusa in ogni impresa”.
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