fbpx

Riscaldamento climatico. Per fermarlo la battaglia si fa anche sul balcone di casa

“Il terreno adatto alla coltivazione deve essere drenante, ma al tempo stesso capace di trattenere l’umidità”. Questo il consiglio che uno dei tanti siti dedicati all’ortoflorovivaismo dà agli aspiranti contadini dal bancone di casa, i tanti che comprano un vaso e poi decidono di provare a fare crescere pomodori, peperoncini o anche semplicemente il basilico. Il terriccio da mettere nel vaso? Meglio se a base di torba, è l’indicazione.

Tutto bene finché non si scopre che la torba è un materiale fossile, non rinnovabile, estratto da terreni lontanissimi che quando va bene stanno in nord Europa, altrimenti si parla di Canada, Usa, Nuova Zelanda e Russia.

In molti stanno ormai cercando un valido sostituto per la torba.

Dopo essere stata estratta, con interi ecosistemi che vengono messi a rischio, la torba deve essere anche trasportata – solitamente su camion. Secondo il network Iucn (International Union for Conservation of Nature) lo sfruttamento delle torbiere di tutto il mondo è responsabile ogni anno del 6% delle emissioni globali di CO2.

Costi elevati, impatto sull’ambiente a più livelli, una prospettiva temporale di utilizzo che si accorcia sempre più, anche grazie all’impegno delle organizzazioni che stanno lottando per la riduzione e messa al bando del prodotto. Sta già succedendo in Svizzera e in Gran Bretagna.

Una passerella nel mezzo del Kemeri National Park in Lituania. Il parco è una importante riserva di torba, preservata grazie anche a fondi europei

Contro la torba una nuova vita per la lana di roccia

Un’idea nata a Bologna, nella facoltà di agraria dell’Università Alma Mater, potrebbe aiutare in quella che è ormai diventata una grande sfida scientifica e commerciale: trovare un valido sostituto della torba.

Filippo Ghirardi, dopo anni di prove, ha identificato un mix potenzialmente ottimale: lana di roccia esausta e rigenerata, assieme a materie organiche come la fibra di cocco.

Doppio il beneficio: non solo si evita la torba, ma si riusa un materiale inerte come la lana di roccia, che altrimenti diventerebbe un rifiuto costoso da smaltire.

Il progetto di Filippo Ghirardi, dottore magistrale in agraria, si chiama Fertyrock, e vuole proporsi come soluzione per i vivai che hanno bisogno di substrati fertili, e non vogliono più usare la torba. Si parla di un settore di mercato in crescita impetuosa, in previsione di quadruplicare la sua dimensione da qui al 2050.

Filippo Ghirardi con una lastra di lana di roccia. Se rigenerata la lana di roccia potrebbe rappresentare un valido sostituto per i terricci a base di torba

L’economia circolare: lana di roccia da rifiuto a risorsa

“Aria e acqua. Le radici delle piante devono bere e respirare. Fertyrock garantisce tutto questo attraverso il riassembramento delle fibre – spiega Filippo Ghirardi – Dalle prove da me fin qui fatte Fertyrock ha prestasioni simili alla torba, e garantisce benefici per l’ambiente”.

Continua Ghirardi: “La lana di roccia è largamente usata come substrato inerte nel campo dell’orticultura fuori suolo, ad esempio nella coltivazione idroponica di pomodori e altri ortaggi. Alla fine del ciclo di vita delle piante lo strato di lana di roccia, ormai diventato un blocco unico con le radici delle piante stesse, solitamente viene trasformato in un rifiuto speciale, con tutti i costi di smaltimento che le imprese devono affrontare. Con procedimenti meccanici e biologici di riassembramento, le fibre di lana di roccia vengono ricombinate e si trasformano in una valido sostituto per i substrati a base di torba, usati solitamente per la coltivazione in vaso di verdure e piante”. ù

Una seconda vita per la lana di roccia, che può essere riutilizzata in chiave di economia circolare, e sostituire un materiale come la torba con un pesante impatto ambientale.

In primo piano una piantina di basilico cresciuta nel substrato Fertyrock, sullo sfondo un basilico in terriccio a base di torba

Sostituire la torba: una sfida per la comunità scientifica

In accademia lavoriamo da tanti anni sul tema della sostituzione della torba – spiega Maria Eva Giorgioni, professoressa alla facoltà di agraria dell’Università di Bologna – Direi che quello del sostituire la torba è un problema annoso, tant’è che il Ministero dell’Agricoltura ha finanziato in passato ricerche e progetti a riguardo”.

Per la professoressa Giorgioni si tratta quindi di “una questione importante”, tanto più che la torba “è un prodotto che si esaurirà, e già oggi presenta importanti problemi ecologici in termini di alterazioni degli ecosistemi esistenti”.

Per questo un progetto come Fertyrock, spiega Giorgioni, “ha un innegabile potenziale e un grande vantaggio: si basa sul riciclaggio di materiali che vengono già usati nel settore della sericoltura intensiva, e che in Europa sono diffusissimi.

Un’idea da mettere a punto, ma già in grado di mostrare i suoi punti di forza: riutilizzando le fibre di lana di roccia Fertyrock è capace di garantire al substrato una struttura stabile nel tempo, quando altri prodotti proposti sul mercato come sostituti della torba (a base di lolla di riso, mais, legno, cippato, ecc) non hanno questa qualità e sono soggetti a degradazione.

Il mix Fertyrock: le parti chiare sono fibre di lana di roccia, capaci di garantire al substrato le giuste caratteristiche per la coltivazione

Prima la validazione scientifica, poi gli investitori

Fertyrocks, per ora allo stadio di idea da validare in laboratorio, ha già vinto i 1500 euro del Premio studenti della Call4ideas di Think4Food, il progetto di open innovation di Legacoop Bologna che mette in connessione le imprese cooperative bolognesi con startup, ricercatori e studenti universitari che hanno idee innovative per lo sviluppo sostenibile nel settore agroalimentare.

Cosa manca all’idea alla base di Fertyrock? Nelle serre dell’Università di Bologna sono già state effettuate le prime prove per validare l’idea, quantificare i parametri chimici del substrato di Fertyrock e paragonarli con la torba. Dal 2022 inizierà la prova agronomica in serra per testare concretamente il prodotto.

“Valuteremo la crescita delle piante con Fertyrock, e con terriccio a base di torba – conclude Ghirardi – Poi analizzeremo il suolo e peseremo i prodotti. Così capiremo cosa funziona e dove eventualmente lavorare per migliorare il prodotto finale. A quel punto arriverà il momento dello sviluppo commerciale, ma già sappiamo bene come il mercato per un prodotto di questo tipo ci sia. Un passo alla volta”.


Change-Makers è il magazine digitale che racconta idee, storie, protagonisti del cambiamento. Scriviamo di cooperazione e innovazione sociale, ambientale, economica, digitale, organizzativa, etica e filosofica.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Cerca nel sito