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Le nostre democrazie sono condannate? A Bologna torna il Festival Dialoghi

Qual è lo stato di salute della democrazia? Le guerre, le tensioni internazionali, il cambiamento climatico, la crisi energetica, le migrazioni, gli effetti delle nuove tecnologie e l’allargamento delle disuguaglianze, stanno mettendo in discussione il sistema democratico?

Come si può agire per rafforzare le democrazie e superare la loro crisi? Quali spiragli concreti per rinnovare le istituzioni, l’economia e il welfare e ripensare le nostre società?

Sono le domande a cui proverà a rispondere il Festival Dialoghi, organizzato dalla rivista Pandora, che si terrà a Bologna dal 5 al 16 ottobre. Tra gli ospiti Riccardo Staglianò, Gustavo Zagrebelsky, Matteo Maria Zuppi, Massimo Cacciari, Marco Damilano, Ferruccio De Bortoli, Juan Carlos De Martin, Piero Ignazi, Paolo Nori, Cecilia Sala, Lorenzo Pregliasco, Romano Prodi e molti altri (programma completo qui). Tutti gli eventi sono ad ingresso gratuito ma è consigliata la registrazione.

Per saperne di più abbiamo incontrato il direttore di Pandora Rivista, Giacomo Bottos

Giacomo Bottos

Buongiorno Bottos, come sta la Democrazia?

Il suo stato di salute non sembra molto buono, ma direi anche che, per quanto oggi la situazione ci appaia molto negativa, il tema non nasce ora. Abbiamo scelto il tema del Festival mesi fa, proprio perché quella della crisi della democrazia ci sembrava una di quelle questioni di lungo periodo che Pandora Rivista si propone di approfondire. Viviamo da almeno un decennio in un periodo in cui crisi di diversa natura si sommano: crisi ecologica, economica, energetica, scontri geopolitici, ora anche la guerra. Sembra mancare la terra sotto i piedi… In questo contesto la crisi democratica, tra declino della partecipazione e crisi delle istituzioni è un tema fondamentale. Ma se le cose stanno così, la prima cosa è capire cosa sta succedendo. E spesso, bisogna dire, il dibattito pubblico e politico non ci aiuta molto a capire. Serve allora darsi degli strumenti per capire, per avere delle coordinate.
La domanda che ci siamo fatti, che è una delle questioni alla base del Festival è: come possono le democrazie rafforzarsi, darsi gli strumenti per affrontare questo insieme di crisi che viviamo? Questo anche alla luce del fatto che altri sistemi non democratici – come la Cina, ma ci sono esempi anche molto più vicini a noi – provano a sfidare le democrazie sul terreno della rapidità e dell’efficacia delle risposte?
Naturalmente nel contesto post elettorale queste questioni appaiono, per certi versi, più sentite, ma si tratta di temi che vengono da lontano, ed è questa – quella del lungo periodo – l’angolatura da cui cerchiamo di guardarli negli svariati incontri del Festival.

Come panel di apertura avete scelto l’orizzonte dell’Occidente

Sì, interrogandosi sulla questione della democrazia emerge quasi naturalmente il problema del rapporto tra Occidente e le altre aree del mondo che non si identificano in questa espressione. Si tratta naturalmente di un concetto che va messo in questione e problematizzato, ma è un tassello importante delle riflessione che va fatta. Proviamo a farlo riflettendo su “Destino e sfide di un’idea di civiltà” a partire dal libro “L’Occidente e la nascita di una civiltà planetaria” di Aldo Schiavone, che parteciperà all’incontro inaugurale di mercoledì 5 ottobre insieme a Ferruccio De Bortoli, Giusella Finocchiaro e Gianfranco Pasquino.

Tra i tanti temi che affrontate c’è quello del rapporto delle grandi Big tech company che si muovono a un livello parallelo se non superiore rispetto alle istituzioni democratiche, soprattutto negli negli Stati Uniti, mentre da noi forse ancora meno

Da noi certamente il tema non è ancora molto presente nel dibattito pubblico. Però si tratta di un tema di grande importanza, se non nella consapevolezza, ci tocca nei suoi effetti. Trattandosi di soggetti che hanno una dimensione globale, le loro azioni si esplicano in tutto il mondo. Questa, d’altra parte, è solo una delle molte questioni implicate dal grande tema del digitale, che è stato anche al centro dell’edizione 2021 del Festival (“La grande frontiera. Costruire insieme”) e che Pandora Rivista ha approfondito in tante occasioni. In questa prospettiva anche in questo Festival abbiamo previsto diversi momenti di riflessione su digitalizzazione e tecnologia. Ne ricordo alcuni: il dibattito con Francesca Bria, Riccardo Staglianò e Juan Carlos De Martin, a partire dal libro di Staglianò “Gigacapitalisti” – che sarà venerdì 14 alle 17 -, la discussione con Luca De Biase sul libro di prossima uscita “Contro lo smartphone” di Juan Carlos De Martin (giovedì 13 alle 17), il panel di sabato 15 ottobre alle 15 “Ecosistemi della digitalizzazione” su digitale, territorio e ruolo degli attori economici, con Luciano Floridi, Gianpiero Calzolari, Mario Cifiello, Simone Gamberini, Rita Ghedini, Giuseppina Gualtieri, Francesco Malaguti e Alberto Vacchi. In conclusione non si può non citare la Lectio di Luciano Floridi, sempre 15, alle 21 al MAST.Auditorium, dal titolo “Democrazia digitale?”.

Secondo lei quali sono i problemi principali che si intersecano al concetto di democrazia quando parliamo di digitale? L’accesso alle risorse? Gli algoritmi…

I problemi sono molteplici. Sicuramente, come ricordava, un tema importante è quello dell’accesso, soprattutto in un Paese, come l’Italia, dove una parte importante della popolazione non ha accesso a infrastrutture adeguate o non possiede gli strumenti o le competenze per essere parte della trasformazione digitale.
Un secondo tema è quello che ricordavamo prima: l’importanza e il potere di mercato dei protagonisti dell’economia digitale, le Big Tech. Si tratta di pochissimi soggetti, che per le loro dimensioni e per le caratteristiche del settore hanno una notevolissima capacità di dar forma all’ecosistema digitale.
Vi è poi un insieme di questioni che ha a che fare con l’architettura e il design delle tecnologie di cui stiamo parlando. Come sono disegnati gli algoritmi? Quali ne sono i presupposti e gli obiettivi? Si pensi ad esempio al tema dei bias impliciti negli algoritmi dell’intelligenza artificiale. Per molto tempo queste tecnologie si sono sviluppate in un vuoto di regolazione. Ora ci si sta ponendo il problema, ma questo solleva una serie di questioni.
C’è infine un tema trasversale, che se vogliamo è il presupposto di tutto quello che abbiamo detto finora. La consapevolezza dell’importanza di questi cambiamenti nell’opinione e nel discorso pubblico è largamente insufficiente. Per capire come governare questi processi occorre prima che vi sia una consapevolezza diffusa delle questioni in campo. Anche per questo è importante costruire momenti in cui possa avvenire una discussione il più possibile ampia e partecipata su queste tematiche. Anche gli incontri di cui abbiamo parlato nel nostro Festival vogliono essere un tentativo di andare in questa direzione.

C’è un altro tema molto attuale che è quello che riguarda le nuove generazioni e la selezione delle classi dirigenti che sembrano impermeabili al cambiamento

Sì, a questo tema abbiamo voluto dedicare un incontro, che è parte di un pomeriggio (dal titolo “Rigenerare le democrazie”) pensato insieme a Forum Disuguaglianze Diversità, TiCandido e La Società di Lettura. Si terrà martedì 11 ottobre. Di nuove generazioni e selezione della classe dirigente discuteremo con Mattia Diletti e Patrizia Luongo alle 17:30, mentre a seguire Fabrizio Barca e Piero Ignazi rifletteranno più in generale sulle nostre “Democrazie a pezzi” tra organizzazioni, politica e istituzioni.
Il ragionamento sullo “stato di salute” delle democrazie è un filo conduttore del Festival. Ne parlerà, ad esempio, il politologo Marc Lazar, nella Lectio “Ma le nostre democrazie sono condannate?”. La crisi della democrazia è infatti un tema che non riguarda solo l’Italia, ma ha una dimensione globale – basti pensare a quello che è successo negli Stati Uniti con l’assalto a Capitol Hill. C’è un problema di delegittimazione delle istituzioni. Ma assistiamo anche a una sempre minore partecipazione, elettorale ma non solo. C’è un disincanto della popolazione nei confronti del processo democratico. La crisi dei partiti non ha finora lasciato spazio di partecipazione politica alternative. Il tema del rinnovamento e della formazione politica è parte della questione più generale delle forme di partecipazione. Alla crisi sempre più profonda dei partiti non corrisponde per ora l’emergere di forme nuove e diverse.

Cosa si dovrebbe fare quindi per accendere l’entusiasmo e quindi la partecipazione che poi alla fine è il termometro più efficace sullo stato di salute di una democrazia?

Credo che una parte della risposta risieda proprio nella diffusione della conoscenza. Il dibattito politico e, più in generale, la sfera pubblica, non è spesso non è all’altezza della complessità. Da questo i cittadini possono trarre l’impressione che nel dibattito pubblico si discuta di questioni che non sono davvero rilevanti. Si può perciò credere che il voto e la partecipazione non servono. Questo è uno dei fattori che generano disillusione e sfiducia nel processo politico.
Uno dei modi per reagire a questa situazione è allora quello di per innalzare il livello della discussione. Questo, insieme al problema – di cui parlavamo prima – delle forme in cui questa conoscenza può collegarsi alla decisione, è un tema fondamentale. Sono problemi enormi ma non bisogna cedere alla tentazione di considerarli troppo grandi per essere affrontati. Discuterne è il primo tassello per poter pensare di costruire il cambiamento.

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