fbpx

L’Italia non è un paese per giovani

C’è la Generazione Y, altrimenti nota come quella dei cosiddetti “millennials”, nati tra il 1980 ed il 1995. Poi c’è la Generazione Z o “net generation”, che va dal 1995 al 2015. E infine la Generazione Alpha, chiamata così dalla prima lettera dell’alfabeto greco, che è la prima ad essere nata interamente nel XXI secolo, circoscritta tra i primi anni duemiladieci e la metà degli anni duemilaventi.

Ci sono molte denominazioni, diverse demarcazioni, ma una cosa in comune: i giovani italiani oggi sono meno rilevanti demograficamente, e anche sempre più marginali economicamente, rispetto alla fascia degli anziani. E così fanno fatica a costruirsi un proprio percorso di vita: trovare lavoro, accendere un mutuo, comprarsi una casa, fare dei figli.

In che modo si potrebbero superare le disuguaglianze generazionali? Ne parleremo martedì 18 ottobre a Bologna alla Change Makers night insieme a Salvatore Morelli, membro del Forum Disuguaglianze e Diversità e ricercatore in scienza delle finanze dell’Università di Roma Tre. 

I Neet, giovani che non studiano e non lavorano

La fotografia del mercato del lavoro in Italia appare sicuramente mortificante per le nuove generazioni. Secondo il 34° Rapporto Italia dell’Eurispes, l’Italia è il paese europeo con più giovani Neet, ossia che non studiano e non lavorano.

Nel 2020, nella fascia tra i 15 e i 34 anni, la percentuale è del 25,1%, contro una media europea di circa il 14%. Segue la Grecia (21%), la Bulgaria (19%) e la Spagna (18,6%).

Dei 3 milioni di Neet in Italia, ben 1,7 milioni sono donne.

Il problema del “generation pay gap”

Ma la questione non è solo la mancanza di lavoro. Anche chi ha un impiego sembra avere condizioni peggiori rispetto alle generazioni precedenti. I dati Inps mostrano che i giovani lavoratori under 30 sono pagati il 39% in meno degli over 54, con una retribuzione media giornaliera di 67 euro contro 109. In tutto, percepiscono quindi quasi 900 euro al mese in meno, se si stima una media di venti giornate lavorative. Si tratta del fenomeno conosciuto come “generation pay gap”.

Non solo: gli under 30 in media lavorano meno. Si calcola una media di 183 giorni lavorativi all’anno pro capite, contro i 245 dei lavoratori più anziani. Anche l’incidenza dei giovani lavoratori sul totale sta scendendo: nel 2014 erano il 57% in più rispetto ai colleghi più anziani, oggi sono solamente il 13% in più.

Nel nostro paese, la disparità di reddito è particolarmente marcata: secondo i dati Eurostat del 2020in Italia lo stipendio medio per la fascia tra i 18 e i 24 anni è di 15,858 euro, mentre in Germania si guadagnano in media 23.858 euro, 19.482 in Francia, 23.778 nei Paesi Bassi e 25.617 in Belgio. Solo in Spagna i giovani hanno un reddito medio simile al nostro.

Più difficile accumulare ricchezza

Le nuove generazioni riescono ad accumulare assai meno ricchezza finanziaria rispetto a quelle precedenti, anche se ne avrebbero più bisogno per contrastare una crescente incertezza lavorativa, salariale e di pensionamento nel futuro. 

Il Forum Disuguaglianza e Diversità stima che la generazione dei nati fra il 1990 e 1995, intorno ai 24 anni, aveva accumulato in media meno di 10mila euro, mentre la generazione di chi è nato fra il 1960 ed il 1965 possedeva, invece, più del doppio della ricchezza finanziaria alla stessa età.

Questa tendenza è confermata dal progressivo aumento del tasso di giovani in povertà. Secondo l’Istat, nel 2021 circa 5,6 milioni di italiani erano in condizione di povertà assoluta: l’incidenza è maggiore tra i minori (14,2%) e nella fascia tra i 18 e i 34 anni (11,1%, quando nel 2005 la percentuale era del 3,1%), mentre si registrano valori inferiori alla media nazionale per gli over 65 (5,3%).

Cervelli in fuga

In questo contesto, molti ragazzi e ragazze decidono di abbandonare il paese e costruirsi una vita all’estero. Secondo il Rapporto 2021 della Fondazione Visentini/ Luiss, tre giovani italiani su dieci sono intenzionati a lasciare l’Italia per trovare migliori condizioni di lavoro e di vita. L’80% si dicono “fiduciosi” nel futuro, ma lo sono di meno per quel che riguarda il loro futuro in Italia.

Soltanto nel 2019, alla vigilia della pandemia, erano emigrati più di 50 mila i giovani tra i 15 e i 34 anni,secondo dati del Rapporto Migrantes sugli “Italiani nel mondo”. Prendendo in considerazione il decennio 2009-2018, si parla di circa 250mila persone, secondo il Rapporto annuale 2019 sull’economia dell’immigrazione della Fondazione Leone Moressa. 

Un paese sempre più vecchio

La conseguenza è che l’Italia sta diventando un paese sempre più vecchio. Nel 2021 è stato toccato il record negativo delle nuove nascite, scendendo sotto quota 400mila: si tratta della cifra più bassa dal 1861, dice l’Istat. Una tendenza che risulta particolarmente accentuata tra le donne con meno di 30 anni.

Guardando poi i numeri del censimento 2018-19, si nota come l’età media in Italia si sia innalzata di due anni rispetto al 2011, passando da 43 a 45 anni. L’indice di vecchiaia (dato dal rapporto tra la popolazione di 65 anni e più e quella con meno di 15 anni) è notevolmente aumentato, dal 33,5% del 1951 a quasi il 180% del 2019: in pratica, settant’anni fa c’era meno di un anziano per ogni bambino, oggi ce ne sono 5.

Hai un’idea in grado di generare un impatto positivo per le persone, per l’ambiente o per la tua comunità? Vuoi trasformarla in una startup cooperativa capace di promuovere il cambiamento sociale, culturale, economico o tecnologico? Partecipa a Coopstartup Change Makers, il bando che sostiene la creazione di startup cooperative a Bologna e nei comuni dell’area metropolitana. Per tutti i partecipanti, formazione gratuita e servizi di accompagnamento.
E per le 5 migliori idee, 10.000 euro a fondo perduto per avviare la startup cooperativa! Puoi iscriverti alla piattaforma per scoprire il bando e candidare la tua idea entro il 20 novembre  https://changemakers.coopstartup.it/piattaforma/

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Cerca nel sito