Orologi climatici. Per fermare il disastro un movimento per installarli ovunque
Gli anglofili li chiamano Climate Clock. In Italia, più semplicemente, sono orologi climatici. Si tratta di strumenti digitali che stanno comparendo nelle città del pianeta per ricordarci, con un conto alla rovescia, che abbiamo pochissimo tempo per intervenire contro il riscaldamento globale.
Come tutti gli orologi anche questi puntano a “disciplinare” le nostre azioni.
Ma riusciranno a farlo con la politica, le imprese, i cittadini?
Riusciranno a favorire più cura della natura e più rispetto del suo delicato equilibrio ambientale?
Anni di Kairos
Strano oggetto l’orologio.
La sua storia ha scandito le tappe del cammino dell’uomo e del suo rapporto con il tempo.
SIn dall’antichità, i Sapiens hanno ingaggiato col tempo una sorta di corpo a corpo, per carpirne la natura profonda.
I greci lo chiamavano Chronos oppure Kairos per distinguere un tempo quantitativo che scorre sempre uguale, da un tempo più qualitativo, il Kairos: una sorta di “tempo cruciale”, di “tempo designato”.
Un bel po’ di secoli dopo Sant’Agostino ammise di non capirci granché in materia di tempo e oggi la fisica quantistica sembra aver dissolto il concetto stesso.
Questa imprendibilità del tempo non ha però inibito il desiderio dell’uomo di misurarlo.
Con strumenti sempre diversi: dalle clessidre, che in origine erano ad acqua, alle meridiane;
dagli enormi orologi meccanici posti campanili delle città medioevali a quelli in miniatura da poter infilare nei panciotti della borghesia dell’ottocento.
Anche oggi che sono oggetti in estinzione o da collezione, l’orologio ce lo portiamo addosso inserito di default nei nostri smartphone.
A questa rapida carrellata dell’evoluzione degli orologi, vanno aggiunti i Climate Clock.
Orologi climatici che solo di recente si sono imposti alla ribalta del mondo.
Cosa sono gli Orologi climatici?
Si tratta di comuni orologi digitali che anziché indicarci l’ora esatta ci mostrano un conto alla rovescia.
Ci segnalano quanto tempo ci rimane prima che si verifichi uno shock climatico irreversibile.
In maniera molto evidente, sono visibili gli anni, i giorni, le ore, i minuti e addirittura i secondi (in colore rosso), che abbiamo a disposizione prima che diventi troppo tardi poter fare qualcosa.
Il primo Climate Clock a comparire sul pianeta è stato, nel settembre del 2019, l’orologio di Berlino.
In occasione del terzo “Global Climate Strike“, il movimento dei Fridays for Future ha stupito il mondo con un’opera spettacolare, installando sul Gasometer di Berlino-Schöneberg un gigantesco orologio “al carbonio”, che indica il budget di carbonio disponibile e quindi il tempo rimasto, agli attuali ritmi di emissioni, per riuscire a contenere l’aumento della temperatura entro 1.5°C (solo 7 anni e 5 mesi) oppure 2°C (circa 25 anni).
Le basi scientifiche di questo orologio attingono ai dati dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC).
Molto visibile anche il secondo orologio.
Si tratta di quello inaugurato il 19 settembre del 2020 a Manhattan, a New York, sulla facciata di un palazzo a Union Square.
Qui, gli artisti Andrew Boyd e Gan Golan, che hanno poi lanciato il progetto Climate Clock, sono intervenuti sul vecchio orologio “Metronome“, un progetto d’arte pubblica realizzato nel 1999.
Dopo il restyling l’orologio anziché indicare l’ora, misura il tempo rimanente per ridurre le emissioni climalteranti e tenere il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5 °C.
Si tratta di una sorta di deadline, di sapore millenaristico, scandita da numeri che decrescono e che ci indicano, la finestra temporale utile per scongiurare il peggio.
A renderlo meno inquietante nell’aprile dello scorso anno, gli attivisti che lavorano al progetto Climate Clock, hanno affiancato alla deadline rossa una lifeline verde.
Che indica la percentuale crescente dell’energia mondiale che proviene da fonti rinnovabili.
Una sorta di ancora di salvezza che ricorda il ruolo cruciale svolto dalla transizione energetica.
In questo caso il numero di energia rinnovabile sul display del “nuovo Metronome” si basa sulle informazioni del progetto Our World in Data, diretto da Max Roser dell’Università di Oxford.
Dopo New York, il progetto ha interessato prima Seoul nel maggio 2021, comparendo sul tetto della sede del quotidiano The Korea Herald, e poi Roma, dove il 4 giugno 2021, in occasione della giornata mondiale dell’ambiente, è stato inaugurato il primo orologio del clima in Italia e quarto a livello mondiale.
Quest’ultimo orologio italiano lo si può vedere in via Cristoforo Colombo, sulla facciata del Ministero della Transizione Ecologica (MITE) e alterna al count down anche alcune citazioni come quella di Lester Brown fondatore del Worldwatch Institute:
“Non abbiamo più tempo per essere pessimisti”
O quella del Capo nativo americano See-ahth, che coglie pienamente il concetto di sostenibilità:
“La Terra non è un’eredità ricevuta dai nostri Padri, ma un prestito da restituire ai nostri figli”
Da orologi a tazebao
Aggiungendo nuovi moduli comunicativi gli orologi climatici, tendono così a sganciarsi una comunicazione improntata sul registro apocalittico.
E diventano, non solo un monito a non perdere altro tempo, ma anche moderni tazebao digitali attraverso cui offrire informazioni ambientali.
Come quella, apparsa sul Climate Clock di New York.
Che ricorda i 100 miliardi di dollari di finanziamenti annuali che le nazioni ricche e inquinanti del pianeta devono versare ogni anno al Green Climate Fund, il più grande fondo mondiale per il clima, sostenuto dalle Nazioni Unite con l’obiettivo di aiutare le nazioni a basso reddito a sviluppare energie rinnovabili e favorire percorsi di sostenibilità di lungo periodo.
10, 100, 1000 orologi
Oggi gli orologi climatici, al netto di pericoli di spettacolarizzazione, come dimostra il film Don’t look Up, rimangono un simbolo potente in grado di alimentare l’azione degli attivisti per il clima.
Ma soprattutto la tensione necessaria al cambiamento degli stili di vita e delle politiche ambientali.
Del resto la nostra civiltà grazie al comune linguaggio sulla misurazione del tempo, ha da sempre disciplinato gli spazi di vita, quelli del lavoro e quelli dell’istruzione.
Regolandoli con sveglie, sirene e campanelle e non a caso ogni rivoluzione ha sempre cercato “un tempo nuovo” distruggendo orologi e imponendo nuovi calendari.
Oggi, anziché a una furia iconoclasta, assistiamo a un movimento inverso: la comparsa di nuovi orologi che chiedono di invertire il corso di una civiltà fossile e condurla nel solco di una civiltà rinnovabile.
A partire dalle nostre azioni, ma soprattutto dalle decisioni politiche che i cosiddetti “grandi” della terra sapranno prendere.
Per questo oggi, è il momento di installare orologi ovunque:
sui siti web e nelle piazze delle città;
dietro le finestre delle abitazioni;
nei cinema e nei teatri;
nelle biblioteche e nelle mense aziendali.
E attivare così quella spinta gentile verso un destino comune che non è ancora ineluttabile.
Il climate clock si sta per questo affermando come un progetto a livello globale.
Non solo per creare consapevolezza a proposito dell’impatto del riscaldamento globale e delle gravissime conseguenze che ne derivano, ma anche per attingere all’energia delle comunità.
Per trasformare questi orologi da monumenti in movimenti.
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