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​​Accordo Radiotaxi Roma-Uber. Il no della bolognese Cotabo: “Non diventeremo i nuovi rider”

“Con un accordo così l’unico soggetto che si rafforza davvero è Uber, e stiamo parlando di una piattaforma digitale estrattiva, che vive prendendo ricchezza dai territori e portandola altrove. Per noi tutto questo è negativo”.

Reagisce così Riccardo Carboni, presidente della coop di taxisti bolognesi Cotabo, alla notizia di un accordo siglato a Roma tra Loreno Bittarelli, presidente della cooperativa Radiotaxi 3570 della Capitale, e Uber, la discussa multinazionale dei trasporti nata negli Usa ma presente ormai in mezzo mondo.

Carboni, cosa c’è che non va nell’accordo annunciato in video da Bittarelli?

Molte cose non vanno. Intanto Bittarelli è una persona con un ruolo politico, tratta col ministero quando si parla di trasporti. In questo momento inoltre il governo, col ddl Concorrenza, sta valutando ampi interventi nel nostro settore. Un accordo con Uber fatto a Roma potrebbe anticipare le scelte politiche e avere conseguenze negative. Inoltre la struttura di cui Bittarelli è presidente è consortile, tiene assieme radiotaxi un po’ in tutta Italia. Quindi c’è una valenza nazionale dietro all’annuncio.

Cosa c’è di sbagliato? L’annuncio parla di vantaggio per i taxisti e non sarà vincolante. Chi vorrà potrà starne fuori.

Intanto non sono affatto sicuro che i taxisti vogliano diventare dei rider per Uber. Lo ricordo: Uber è una piattaforma digitale che vive con l’intermediazione. Non fornisce corse, auto o autisti. Semplicemente fornisce un’app e per questo si fa pagare una commissione. Cosa vuole Uber? Controllare il mercato. Cosa fa questo accordo? Aiuta Uber a raggiungere il suo obiettivo anche in Italia.

Lei spesso parla di Uber come di una piattaforma estrattiva. Che significa?

Che attraverso le commissioni si garantisce i profitti, e quei profitti li porta altrove. Il modello in cui crediamo noi è profondamente differente. Per noi le tecnologie digitali di piattaforma vanno unite al modello cooperativo, dove il lavoro dei soci è valorizzato e il radicamento sul territorio è un punto di forza. Uber tutto questo non lo fa: comprime sul medio e lungo termine la capacità degli autisti di garantirsi un reddito, e non investe certo nel settore o sul territorio. Meglio allora un modello di piattaforma cooperativa, che tra l’altro noi stiamo sviluppando e proponendo da tempo.

Un accordo come quello annunciato a Roma apre le porte ai rider su taxi, così come abbiamo visto i raider in bicicletta?

E’ presto dire cosa succederà e i taxisti di certo sono capaci di decidere da soli. Io non metto in discussione gli aspetti commerciali immediati di quell’accordo. Io sollevo un tema politico e di tempistiche. Oltre al governo, anche l’Europa si sta occupando dei diritti dei lavoratori delle piattaforme. Questo è un problema su scala mondiale, perché i diritti sono compressi ovunque. Finché non si definisce chiaramente questa partita è politicamente sbagliato fare accordi di questo tipo, per giunta con Uber.

New York. I taxisti che hanno fatto l’impresa (cooperativa)

Piattaforme digitali: il modello cooperativo come alternativa a quello estrattivo

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