Basta gas, ora ci sono le biomasse. Sui monti dell’Appennino bolognese il Comune che sceglie ambiente e risparmio
Il costo del gas sta salendo vorticosamente? A Monzuno, paese dell’Appennino bolognese, il bilancio comunale ne ha risentito poco. Perché questo inverno tutti gli edifici comunali sono stati riscaldati attraverso una nuovissima centrale a biomasse.
“Ora produciamo meno inquinanti di una normale caldaia di casa”, dice il sindaco Bruno Pasquini indicando il fumo bianco che esce dal camino della centrale. “E’ quasi tutto vapore acqueo, le emissioni di monossido di carbonio e azoto sono catturate da un elettrofiltro”, spiega.
Non è solo una questione ambientale. In questa storia il capitolo del risparmio è importante. “I conti al centesimo dobbiamo ancora farli, ma questa centrale a biomasse ci sta facendo risparmiare decine di migliaia di euro”, racconta il primo cittadino.
L’uso della centrale a biomasse ha permesso (dati 2021 su 2018) un risparmio di circa 4 mila euro, un 20% in meno di spese. Ma considerando i recenti aumenti del costo del gas metano il Comune sta registrando un risparmio del 50% dei costi sul riscaldamento.
Per ora la centrale a biomasse del Comune di Monzuno ha riscaldato gli uffici comunali, le scuole, la biblioteca e la palestra. Esclusi per eccessiva lontananza gli spazi comunali della frazione di Vado. In futuro la centrale potrà essere collegata alla stazione dei Carabinieri e alle case di privati cittadini. “C’è spazio per fare di più visto che la centrale sta funzionando al 30% delle sue possibilità. Nei prossimi anni vorremmo consentire ai nostri cittadini di collegarsi così da risparmiare cifre ingenti sulla bolletta del riscaldamento”.
La centrale a biomasse di Monzuno funziona attraverso la combustione di cippato. Di cosa si tratta? Di piccoli pezzetti di legno, detti anche “chips”. In sostanza il risultato di un processo di sminuzzatura di tronchi, rami e altre parti della vegetazione. Non si tratta di una fonte green al 100% (il legno viene comunque bruciato), ma di un biocombustibile rinnovabile che se usato con giudizio e nei casi giusti può essere utilissimo.
E’ proprio il caso di Monzuno, circondato da boschi e campi, e quindi da un ecosistema basato sulle attività agricole. “I contadini attraverso un consorzio producono il cippato a valle, poi un nostro fornitore una volta al mese circa riempie il deposito accanto alla centrale, il cui funzionamento è del tutto automatizzato”, spiega Pasquini.
“L’approvigionamento della materia prima è racchiuso nell’arco di 40km, attraverso questo progetto si è creato un circuito virtuoso” dal punto di vista ambientale ed economico, ha dichiarato il giorno dell’inaugurazione della centrale l’assessore all’ambiente della Regione Emilia-Romagna Irene Priolo
A gestire il consorzio Forestamica, che si occupa della produzione di cippato, è Claudio Cervellati, esponente nazionale di Confagricoltura e responsabile del settore forestale dell’associazione. “I boschi hanno bisogno di una gestione costante – spiega Cervellati – Il che non vuol dire abbattere indiscriminatamente gli alberi, ma significa tenere il territorio in equilibrio tagliando solo le piante troppo anziani, malate, morte o che non assorbono più CO2. Quando si parla di boschi ci sono tante questioni da tenere a mente: serve una strategia anticendio eppure non si fanno più linee tagliafuoco, così come serve regolare bene l’ecosistema per prevenire disastri idrogeologici, il che vuol dire anche sapere quando e dove tagliare gli alberi troppo pesanti. Noi tutto questo lo chiamiamo attuare una gestione forestale sostenibile, gestione che tra l’altro è regolata dalla Comunità montana, che dispone di tecnici qualificati”. Cervellati fornisce anche il contesto: in Italia i boschi stanno aumentando anno dopo anno, e si tratta di aree non gestite più dall’uomo. Il bosco italiano è arrivato a 11 milioni di ettari di superficie, con un aumento di oltre il 20% negli ultimi 30 anni. “Eppure siamo il più grande importatore mondiale di legna da ardere, è una situazione non sostenibile. Per questo i boschi e non impoveriti, una corretta pianificazione può trasformali in una risorsa ambientale, economica e sociale”.
Per supportare la capacità di generare calore della centrale a biomasse di Monzuno, è stata installata anche una pompa di calore, e in aggiunta una serie di pannelli solari. L’idea è quella di sfruttare l’energia solare per fare funzionare tutta la parte elettrica della centrale, e la pompa di calore per contribuire al riscaldamento. In certe condizioni, è la speranza dell’amministrazione, la pompa di calore basterà da sola, e non servirà nemmeno accendere la centrale.
Per intanto Monzuno ha fatto a meno del gas, combustibile fossile molto inquinante il cui prezzo è schizzato verso l’alto dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina.
La centrale a biomasse ha comportato un investimento da quasi 900 mila euro, finanziato a fondo perduto dalla Regione Emilia-Romagna con mezzo milione di euro attraverso i fondi europei (Programma di sviluppo rurale 2014-2020).
Le biomasse sono inserite da Legambiente all’interno delle energie necessarie alla transizione ecologica. Utilizzando anche solare e eolico, ha spiegato più volte l’associazione ambientalista, i piccoli centri potrebbero progettare la propria autosufficienza energetica.
“Le agrienergie – si legge in un paper di Legambiente – possono offrire un contributo importante a mitigare i cambiamenti climatici e ad aumentare l’autonomia energetica dei nostri territori, ma non si possono considerare l’alternativa globale al petrolio né una commodity energetica. Non si può ignorare infatti la specificità di questa fonte energetica, indissolubilmente legata al suolo e alle risorse territoriali. Di conseguenza il loro sviluppo corretto non può che essere altamente decentralizzato. Se l’approccio alle agrienergie è di tipo mercantile, prevale il criterio di produrre la massima quantità al minor prezzo, col conseguente ricorso alle materie prime importate, senza alcuna rica duta positiva per il sistema agricolo nazionale. I principali protagonisti delle agrienergie sono le aziende agroforestali e le comunità locali”.
A fare la parte del leone in Italia per quanto riguarda le biomasse sono i piccoli Comuni del Trentino Alto-Adige, con le loro reti comunali di teleriscaldamento. Ma anche in Toscana le centrali a biomasse sono diffuse. Negli ultimi anni le biomasse sono diventate una realtà importante. Erano 32 gli impianti comunali nel 2005. Oggi in tutta Italia sono più di 4000.
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