L’energia della cooperazione
Paese bizzarro il nostro.
Capace di inserire, con una mano, nella nostra Costituzione la sacrosanta tutela dell’ambiente, il principio di giustizia intergenerazionale (nel nuovo articolo articolo 9) e limiti precisi, come la salute e l’ambiente, all’attività economica (nell’articolo 41) e poi con l’altra mano elargire, come rileva un recente rapporto di Legambiente, miliardi di euro in sussidi e aiuti alle aziende fossili.
Un Paese capace di riconoscere, promuovere e favorire, il valore sociale della cooperazione con l’articolo 45 della nostra Costituzione e poi non coglierne appieno le potenzialità indicate dai padri costituenti, di ogni cultura politica.
Il combinato disposto di queste due bizzarrie è plasticamente riassunto in questa storia dell’assurdo che provo a raccontarvi.
Tutto nasce dal Decreto Sostegni ter introdotto dall’esecutivo il 27 gennaio scorso.
Più precisamente dall’articolo 16.
Cosa dice l’articolo 16 del DL Sostegni ter?
Per chi vuole leggerlo in originale basta andare in Gazzetta Ufficiale e districarsi nel burocratese: “meccanismo di compensazione a due vie sul prezzo dell’energia”; “aritmetica mensile dei prezzi zonali orari di mercato dell’energia elettrica”; e altri tecnicismi di non immediata comprensione.
Riassumendolo invece, dice una cosa semplice quanto dirompente: tassare le rinnovabili.
Più precisamente.
Se sei un produttore di energia da fonti rinnovabili, (sia essa eolica, fotovoltaica, idroelettrica o geotermoelettrica) e conferisci energia pulita nella rete nazionale – e per questo benefici di tariffe fisse derivanti dal meccanismo del Conto Energia, non dipendenti dai prezzi di mercato – allora ti tocca restituire, nel 2022, i ricavi eccedenti, secondo criteri la cui comprensione metterebbe in difficoltà anche un premio Nobel.
Ma al di là dei meccanismi tecnici, il decreto sembra irridere quei virtuosi che hanno cominciato in anticipo a interpretare, sia come impresa che come cittadini, la tanto auspicata transizione energetica.
Un provvedimento che sembra dire: non importa quanto sei stato bravo, investendo per produrre energia rinnovabile; devi comunque subire gli stessi rincari in capo ai più, che su quella transizione, magari, si sono beatamente disimpegnati.
É quello che in termini più pacati, ma non per questo meno preoccupati, ha detto Sara Capuzzo, presidente della cooperativa èNostra, in una lettera aperta che ha inviato al Presidente del Consiglio Mario Draghi il 4 febbraio scorso.
Si tratta di una lettera, che non parla solo di energia, ma anche di etica dell’energia e del ruolo che cittadini e soci di una cooperativa possono svolgere per interpretare in senso mutualistico e giusto la transizione energetica. E affrontare così anche il rincaro dei prezzi dell’energia.
Ma su questo aspetto in particolare ci torneremo fra un po’.
Solidarietà energetica?
Prima, per chiarezza, forse occorre farsi qualche altra domanda.
Ad esempio: per quale ragione si è arrivati a chiedere questo prelievo retroattivo?
Semplice sembrerebbe.
Uno. Il Paese è sotto scacco per via degli aumenti anomali del prezzo del gas, vero kingmaker del nostro mix energetico. E da qualche giorno ancor di più, visto che l’Ucraina, da cui passa il nostro gas, è stata invasa militarmente dalla Russia, nostro principale fornitore.
Due. Con lo sviluppo delle rinnovabili siamo pressoché fermi da una decina d’anni: dovremmo fare almeno 10GW di rinnovabili all’anno da qui al 2030 e ne facciamo circa 1 perché i recepimenti delle direttive europee arrivano in ritardo e perché la burocrazia azzoppa gran parte delle iniziative, bloccandole per anni, come ha fatto notare di recente la giornalista Milena Gabanelli.
Tre. Non possiamo fare altro debito, visto che l’effetto “espansivo” della pandemia o il “momento di dare soldi”, per dirla con le parole del premier, è incalzato da una inflazione che, dopo tanti anni, rifà capolino nelle nostre vite, assieme allo spauracchio dello spread. E poi si sta affacciando un’economia di guerra.
Quindi?
Non rimane che ribilanciare le uscite e le entrate “spalmando gli incentivi” e tagliando gli “extra profitti”.
Senza distinguere se quei profitti sono elargiti a azionisti (magari neppure italiani) oppure ridistribuiti equamente a soci di una cooperativa sotto forma di tariffe calmierate, che di fatto contengono l’aumento del costo delle bollette.
Proprio quello che il governo si propone di fare.
Facendolo male e con “modalità discriminatorie di dubbia costituzionalità” come ha fatto notare il think tank indipendente Ecco.
É vero che il caro in bolletta non è una cosuccia come tante: può raggelare il conto economico di molte imprese e le case di tanti italiani. In due parole: crescita e consumi.
E allora? Si potrebbe obiettare: quando la casa brucia tutti devono fare la loro parte e non è il caso di fare troppi distinguo.
Ma se si tratta di una sorta di “solidarietà energetica nazionale”, perché tale prelievo viene fatto ai soli produttori di energia rinnovabile?
Se è vero che le rinnovabili sono un tassello importante della transizione energetica, perché penalizzare proprio questo segmento, ancora gracile e nascente, del nostro sistema energetico e non chi inquina davvero e chi fa profitti ben più lauti? Eni ad esempio, e la filiera dell’importazione e vendita di combustibili fossili tra cui c’è pure il gas ovviamente.
Per non dire delle centrali a carbone, che secondo il già citato report di Ecco, stanno facendo margini netti 50 volte più alti rispetto al 2019 e che adesso vogliamo rilanciare, con grande “slancio retrotopico”, per tornare agli anni ruggenti della prima rivoluzione industriale.
Chi inquina paga?
Insomma, perché non batter cassa da quei produttori di energia impegnati nell’estrazione di combustibili fossili come il gas e il petrolio, ben più solidi e ricchi di extraprofitti, viste anche le irrisorie royalties che pagano?
Questione di feeling o questione di lobbyng?
Nel dubbio forse servirebbe citare l’art. 53 della nostra Costituzione che ci indica la via.
In modo inequivocabile e riassumibile con un concetto chiaro: progressività della contribuzione.
Anche in ragione della qualità e quantità dell’emissione, verrebbe da aggiungere.
A tal proposito forse vale la pena ricordare che è dal 2004 che l’Europa (e il Governo italiano è europeista) ha sancito con una sua direttiva il principio del “chi inquina paga”, un pilastro della disciplina comunitaria in tema ambientale.
Se poi aggiungiamo che dall’8 febbraio abbiamo anche in Costituzione i limiti ambientali imposti all’attività economica, non si capisce proprio il perchè di questo prelievo, che più che selettivo, forse andrebbe definito come “chirurgico” visto che è comminato ai danni dei soli produttori di energia rinnovabile.
Contrordine
Per fortuna oltre alla lettera di èNostra sono arrivate le contestazioni delle associazioni di categoria, di quelle ambientaliste e degli operatori di settore, tanto che il governo ha dovuto rimettere mano all’articolo 16, abrogandolo per intero.
Lo ha infatti sostituito con l’articolo 5 contenuto nel DL n. 13 del 25 febbraio 2022 “Misure urgenti per il contrasto alle frodi e per la sicurezza nei luoghi di lavoro in materia edilizia, nonche’ sull’elettricita’ prodotta da impianti da fonti rinnovabili” che ha mitigato il prelievo dei cosiddetti “extraprofitti” dalle rinnovabili.
Su èNostra l’impatto è stato il seguente: dei 13 impianti di proprietà, la cooperativa vede adesso interessati dalla restituzione degli “extraprofitti” 6 dei suoi 7 impianti fotovoltaici incentivati. Si salva il nuovo impianto eolico di Gubbio che è stato messo in funzione nel 2021.
Tutto è bene quel finisce bene? Non proprio.
Questa storia ci insegna diverse cose su cui forse vale la pena riflettere.
Primo. Il legislatore non ha sempre ragione. Vigilare e fare pressione sul suo operato, è cosa sacrosanta, in una democrazia.
Secondo. Il concetto di profitto mal si sposa con il tema energia.
Terzo. La cooperazione è un modello economico non ancora pienamente compreso e valorizzato.
Quarto. La transizione energetica è un banco di prova per il concetto di giustizia.
L’energia e il profitto
Che l’energia sia un’attività economica come le altre (ovvero finalizzata al profitto) è un tema su cui servirebbe soffermarsi senza fraintendimenti.
L’energia è un bene (comune) simile al Paesaggio, l’Acqua, la Salute, gli Alberi e la Cultura.
Non è una merce che deve procurare profitti, ma redistribuire valore, consentire accessibilità e cittadinanza, ridurre disuguaglianze.
Tutto questo è molto chiaro nella legislazione europea che ha definito i propri obiettivi in materia di energia e clima per il periodo 2021-2030 con il pacchetto legislativo “Energia pulita per tutti gli europei“.
A cui sono seguite un paio di direttive che mettono al centro del futuro sistema energetico, non il profitto, ma al contrario i cittadini chiamati a evolvere dal ruolo di semplici consumatori a quello di prosumer ovvero produttori e consumatori di energia.
Il prosuming cooperativo
Esattamente quello che hanno fatto i soci della cooperativa èNostra che senza chiedere nulla a nessuno si sono impegnati insieme per finanziare impianti di rinnovabili e destinarsi bollette a prezzi calmierati. Mettendo nell’attività d’impresa sia il capitale che il lavoro.
Senza chiedere sostegni oltre quelli già esistenti e a partire da entrate preventivate e che adesso si chiede in parte di stornare.
Risultato? Probabile rialzo in bolletta per i soci della cooperativa.
Siamo al paradosso: si aumenta la bolletta a chi se l’era ridotta con le sue sole forze operando tra l’altro nel solco della transizione energetica.
E incrinando così un patto mutualistico e fiduciario con quei soci che si erano riuniti in cooperativa per ottenere migliori condizioni di acquisto di un bene di primaria necessità.
Un approccio che, a ben vedere, è ciò che fa la cooperazione da oltre 150 anni in tantissimi settori della nostra economia e anche in campo energetico, se guardiamo alcune cooperative centenarie ancora presenti nel nostro arco alpino.
Capire il modello cooperativo
Di fatto il tema sollevato dalla Cooperativa èNostra riguarda tutta la cooperazione presente e tutta quella che nascerà per dare personalità giuridica alle future comunità energetiche.
Di più, riguarda la percezione che di essa ha, non solo l’opinione pubblica, ma probabilmente anche parte dell’apparato amministrativo del Paese.
É come se la cooperazione, nonostante l’articolo 45 della nostra Costituzione, fosse figlia di un dio minore.
Come sostiene da tempo Stefano Zamagni “la questione cooperativa è stata prevalentemente affrontata sub specie paupertatis: la cooperativa si giustifica e si legittima per la sua capacità di servire la causa dei miseri e degli emarginati sociali, di tutti coloro cioè che non riescono a inserirsi nel modo di produzione capitalistico. In altri termini, se il modo ‘naturale’ di fare impresa è quello capitalistico è evidente che quello cooperativo non può che essere un modo residuale e comunque transitorio”.
In due parole siamo vittime di una sorta di realismo capitalista per dirla con Mark Fisher.
Un modello alternativo
E invece no. Accanto all’economia del sistema economico for profit esiste, con pari dignità, un sistema economico cooperativo sostanzialmente alternativo al primo, perché di impianto non capitalistico.
Non è ideologia, ma come ci ricorda Marta Cartabia in una sua Lectio, è dettato costituzionale sottolineato anche dalla Corte costituzionale con la decisione n. 408 del 1989:
“Alla protezione costituzionale della cooperazione si attribuisce una finalità che va oltre la generica tutela di categorie produttive deboli, in quanto si estende al riconoscimento e alla promozione di una forma di produzione alternativa a quella capitalistica” che, aggiunge la Corte, “viene individuata nella congiunta realizzazione del decentramento democratico del potere di organizzazione e gestione della produzione e della maggiore diffusione e più equa distribuzione del risultato utile della produzione stessa”.
Praticamente i tre principi fondanti della cooperazione:
- Una testa un voto
- Porta aperta sia in entrata che in uscita
- Valore aggiunto redistribuito tra soci e lavoratori, comunità e finanche le future generazioni.
Perché anche le cooperative creano valore e generano utili.
Distribuire valore
La differenza sostanziale rispetto alle società di capitale è che tali utili sono in parte reinvestiti per consolidare sempre meglio l’attività di impresa (anziché spolparla pur di staccare generosi dividendi per gli azionisti), e in parte accantonati a riserva indivisibile e quindi a beneficio delle future generazioni.
Si tratta a ben vedere di un rapporto mutualistico intergenerazionale, in quanto quegli utili altro non sono che redditi a cui i soci, rinunciano volontariamente e in via definitiva in un’ottica di sostenibilità di lungo periodo dell’attività di impresa.
Anche questa è la cooperazione. E merita rispetto.
Ancor di più oggi, alla luce della crescita di larghi strati di popolazione in povertà, anche energetica.
Su questo terreno la cooperazione, da quella energetica come èNostra, a quella di comunità, da quella sociale vera infrastruttura economica e sociale del Paese, fino a quella di abitanti, aperta a nuove dinamiche del vivere insieme, continua a dare importanti risposte.
Le comunità energetiche per la transizione giusta
Ecco perché questa storia del taglio degli “extra profitti” già di per sé iniqua, diventa assurda se investe anche la cooperazione.
Finisce per rallentare ulteriormente il processo di transizione energetica, mettendo a rischio investimenti vitali per il futuro del Paese.
Nonché il futuro delle comunità energetiche a impianto cooperativo.
É inconcepibile che il nostro Paese, proprio mentre stanzia tanti miliardi per la transizione ecologica, non riesca vedere nella cooperazione un driver fondamentale della Just Transition, da innervare nelle comunità energetiche.
Eppure basterebbe guardare le definizioni, sia europee che nostrane, di comunità energetiche per riconoscere i tratti inconfondibili della cooperazione a partire dal tema dei profitti finanziari.
Vediamole ritagliate qui sotto.
La legislazione e le comunità energetiche
Nella direttiva Rinnovabili 2018/2001 (cosiddetta Red II )
Nella direttiva mercato elettrico 2019/944
Fino al Decreto Legge 199/2021 del nostro Paese che recepisce la RED II
L’energia della cooperazione
Come si vede, seppur con la parzialità dei riferimenti, le comunità energetiche, nella visione europea, trasudano concetti cooperativi.
Per via del loro radicamento territoriale, della governance democratica e inclusiva, per l’articolazione delle sue finalità, espresse non solo sul piano ambientale, ma anche su quello economico/finanziario, redistributivo e sociale.
Per queste ragioni le comunità energetiche possono diventare luoghi abilitanti di processi partecipativi e realmente dal basso. Luoghi ricchi di senso e scevri da gattopardismi all’italiana, in cui i protagonisti rimangono sempre i grandi gruppi economico-finanziari, ieri oil-oriented e oggi green-oriented.
Le 5 P della cooperazione
Oggi c’è una finestra epocale per un nuovo protagonismo della cooperazione.
A patto che sappia smarcarsi da una certa autoreferenzialità maturata nell’isolamento culturale in cui è stata spinta e da certa retorica che ha talvolta appiattito il mondo cooperativo su dinamiche non sue.
Oggi si può essere ambiziosi e sostituire, nella triple bottom line, la P di Profit con la P di Prosperity diffusa, a partire dall’energia della cooperazione che di P ne ha anche una quarta: Passione. E una quinta: Persone.
In tema di energia e di comunità energetiche, la cittadinanza cooperante può e deve esprimere il suo lessico coesivo e solidale, equo e inclusivo.
E ritornare a fare politica, perché dobbiamo dircelo: la transizione in corso non sarà un pranzo di gala, ma un processo eminentemente politico.
La transizione trasformativa
In questo senso le comunità energetiche non sono solo un banco di prova energetico.
Quello è il dito.
La luna delle comunità energetiche è nell’energia delle comunità.
Che sono fatte di persone in carne e ossa.
Di problemi da mettere in comune e di soluzioni da trovare insieme.
Per un mondo più giusto e una transizione più giusta.
“L’ecologia, più che un lusso dei ricchi, è una necessità dei poveri”, diceva Alexander Langer.
Ecco perché possiamo e dobbiamo dire che l’energia è Nostra.
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