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“La sostenibilità? E’ una buzzword, meglio parlare di impatto”

Attenzione: il termine sostenibilità è ormai diventata una buzzword, una parole d’ordine che tutti utilizzano ma che ormai rischia di non significare più nulla. Al suo posto meglio usare il termine “impatto“.

La pensa così Luigi Corvo, economista e docente all’Università di Roma Tor Vergata e all’Università di Milano Bicocca.

“La sostenibilità è come l’innovazione di 10 anni fa, è la nuova normalità di qualsiasi conversazione”, ha detto Corvo in un intervento durante l’Assemblea Nazionale di Generazioni Legacoop – Woodcoop 2022 dal titolo “Giovani in rete. Partecipare, custodire, costruire”.

Come uscire dai discorsi vuoti? Secondo Corvo capendo bene cosa lega tre termini come cooperazione, sostenibilità e impatto. “C’è un filo teorico ma anche una prassi che determina delle proposte, dei modi di agire e di fare impresa. Sono questi elementi a determinare un modello di sviluppo alternativo e innovativo“.

C’è però un nodo, teorico e non solo, che deve essere ancora sciolto quando si parla di impatto e di innovazione sociale. Non è né attraverso il mercato né attraverso lo Stato che si potrà innovare davvero. Non col mercato per come lo conosciamo a causa delle note storture, non con lo Stato perché il settore pubblico vive attraverso il gettito fiscale. In caso di crisi il governo di turno avrà meno risorse per soddisfare le richieste di beni e servizi, e lo stesso settore privato non potrà più finanziare con erogazioni liberali e donazioni il settore no profit. “Le istituzioni sono completamente inglobate in questo modello”, ha detto Corvo.

“E allora? Bisogna parlare di impatto”, ha spiegato Luigi Corvo.

“Per impatto non intendo la definizione classica, e cioè le conseguenze ambientali e sociali di medio e lungo periodo determinate dall’attività economica. Per impatto intendo un’azione capace di legalizzare e legittimare forme di valore che al momento non riescono ad essere catturare dalle metriche finanziarie tradizionali. Se voglio sapere che valore genere un’impresa posso farlo, se voglio però sapere che impatto o corrispettivo di valore sociale e ambientale genere la stessa impresa, allora devo affidarmi alle storie, ai racconti. Cioè ai bilanci sociali, un genere letterario lento, al contrario di un qualsiasi bilancio, dove un numero finale spiega tutto o molto”.

Come rimediare al problema? Prendendo ad esempio il mondo cooperativo, ha detto Corvo. Un mondo dove le esternalità sono per scelta internalizzate nella produzione. “La cooperazione ricompone la frattura tra interno e esterno delle imprese classiche, che si occupano del valore che generano senza badare alle ricadute sociali e ambientali, lasciate all’esterno del loro perimetro”. Un esempio di questa frattura ricomposta è quello dell’economia circolare.

Un momento dell’assemblea nazionale di Generazione Legacoop, a Bologna presso la Fondazione Barberini. Le foto sono di Margherita Caprillli per Fondazione Barberini.

Profitto e impatto possono essere alleati? E’ possibile un Social New Deal oltre al Green New Deal? Ci sarà mai un social bonus 110%? Cosa ha reso l’impatto ambientale un sottostante per abilitare la trasformazione della spesa in un investimento?”. Domande centrali per il ricercatore, perché rispondendo a queste domande si può capire quale strada percorrere sul versante dell’impatto sociale.

L’impatto ambientale è immediato, ad esempio in termini di CO2 in meno prodotta; è incontrovertibile, ad esempio installando un sensore che misuri l’anidride carbonica; ed ha alta cashability, cioè esiste un collegamento diretto tra un intervento e, ancora per tenere l’esempio, la riduzione dei costi in bolletta. Questi tre fattori hanno portato alla Green economy: un modello di business creato includendo elementi di mirurabilità e che diventa aerodinamico, che prende la rincorsa”.

“Si può fare lo stesso ragionamento con l’impatto sociale? Difficile. L’impatto sociale non è immediato, può richiedere anni per avere effetti tangibili, non è direttamente misurabile, non genera direttamente cashability: ad esempio perché una cooperativa di inserimento sociale creando un lavoro ad un disoccupato eliminerà sì un sussidio, ma il beneficio sarà tutto dell’Inps. L’Inps incasserà, la coop no, i due bilanci sono scissi. E poi come misurare l’impatto sociale? Ci sono 98 modelli censiti in letteratura”.

Come trasformare un “caos” (l’impatto sociale oggi) in uno strumento di produzione sostenibile? Il modello cooperativo potrebbe farlo, ha ragionato Corvo, prima di tutto perché è in grado di coinvolgere tutti i lavoratori trasformandoli in soci, quindi ampliando il modello di proprietà di un’azienda a, potenzialmente, l’intera cittadinanza. Per l’impresa, a quel punto, non converrà più ignorare un ipotetico impatto sociale o ambientale negativo, perché i soci cooperatori ne sarebbero colpiti tutti senza distinzione.

“Il mondo cooperativo potrebbe allora riappropriarsi della parola sotenibilità se la intendesse in maniera integrale e radicale. Dimostrando che i sacrifici in termini di profitto vengono ampiamente ricompensati in termini di beneficio di impatto“. E visto che sul mercato ci sono imprese che non potrebbero mai restare in piedi facendosi carico delle esternalità che producono, allora – è il ragionamento – il mondo cooperativo potrebbe costruire una borsa dell’impatto sociale, costruire cioè strumenti finanziari ad impatto sociale per chi deve comprare compensazioni alle esternalità negative generate”.

La proposta è dunque quella della creazione di un impact business model, un modello per consentire lo scambio di valore tra chi produce impatto e chi produce esternalità negative.

Per fare questo servirebbe un GSE dell’impatto sociale, sul modello ideale di quando succede nel mondo ambientale con il meccanismo delle aste di assegnazione delle quote di emissione.

Oppure, altra proposta, potrebbe essere quella di assegnare parte dei fondi europei non spesi dalle regioni a chi dimostra di fare impatto sociale positivo. O ancora si potrebbe aggiungere le traiettorie delle imposte sull’impatto generato.

“Il cambiamento è tutto qui: oggi per produrre impatto devi dichiarare i tuoi costi e al massimo sarai rimborsato, domani producendo impatto sarà remunerato il valore realizzato. Per questo motivo trovare un modo per misurare l’impatto è un tema importante. Se un imprenditore genera valore ha incentivi, credito d’imposta, accesso ai fondi del Pnrr, perché è considerato un motore dello sviluppo. Bisogna cambiare il modello”.

“Il fatto che ancora non si sia raggiunto il risultato è solo uno stimolo, anche perché non siamo certo al punto zero. E’ stato approvato da poco l’European social economy action plan, che va nella direzione giusta. In Portogallo si converte il 20% dei fondi europei per sostenere progetti ad impatto sociale, in Irlanda c’è il modello Resync Ireland, ci sono poi i contratti ad impatto sociale, in Inghilterra esistono programmi molto estesi di questo tipo. Insomma in tanti stanno lavorando su questo tema. Anche il Fondo europeo per gli investimenti e la Banca europea, che ha recentemente creato nel suo portafoglio un cluster “social impact”

“.

Change-Makers è il magazine digitale che racconta idee, storie, protagonisti del cambiamento. Scriviamo di cooperazione e innovazione sociale, ambientale, economica, digitale, organizzativa, etica e filosofica.
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