fbpx

La città senza auto è possibile. Parola di Paolo Pinzuti

Tutto pronto per Mobilitars, il primo simposio dedicato all’arte della gestione della mobilità urbana previsto a Reggio Emilia il 26 e 27 maggio. L’obiettivo della due giorni è ambizioso: riportare lo spazio pubblico al proprio compito primario di creazione di vita e di relazioni senza perdere di vista le esigenze dell’economia, dell’adattamento al cambiamento climatico e del buon vivere urbano.

A Mobilitars ci sarà anche Paolo Pinzuti: classe 1978, fondatore di Bikeitalia.it e Ceo di Bikenomist. Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche, nel 2012 Pinzuti ha ideato la campagna #Salvaiciclisti e dal 2013 si occupa di comunicazione e divulgazione della mobilità nuova e della bikenomics.

Perché oggi tra le tante transizioni che ci aspettano è importante occuparsi di mobilità?

A me piace dire che la mobilità è il sistema operativo delle città che permette il funzionamento di tutti gli applicativi. 

Se la mobilità non funziona, non funzionano il commercio né la scuola e neppure le relazioni sociali: le merci non vengono consegnate sugli scaffali dei supermercati, la frutta non viene portata dal campo fino alle tavole delle persone. Le persone faticano ad andare al cinema e a incontrarsi. Il risultato è che si blocca tutto. Per questo motivo è di assoluta priorità intervenire in quest’ambito.

Mobilitars sembra essere l’evento giusto. Cosa dobbiamo aspettarci dalla due giorni di Reggio Emilia?

Da Mobilitars dobbiamo aspettarci un momento di rottura del pensiero corrente in merito al rapporto tra mobilità e spazio pubblico in Italia. Negli ultimi 100 anni, di fatto, lo spazio pubblico è stato asservito a quello che è l’utilizzo dell’automobile in ogni sua forma e di conseguenza quello che è successo, visto che in Italia siamo stati da questo punto di vista “più efficienti” che altrove,  è che abbiamo riempito di automobili ogni spazio disponibile. L’Italia è infatti  il Paese con il più alto tasso di motorizzazione in Europa.

Cosa si può fare di fronte a questa situazione?

A Mobilitars cerchiamo di ribaltare questo paradigma, iniziando a dire in maniera chiara e inequivocabile che le città devono progressivamente diventare senz’auto. Cioè le città devono tornare a essere quella cosa che sono sempre state, ovvero dei momenti di aggregazione e di incontro di persone. Luoghi generativi dove si sviluppa vita e cultura e non semplicemente traffico.

Ovviamente l’automobile è uno strumento utilissimo, spettacolare, meraviglioso dal punto di vista tecnologico, ma che non può essere la soluzione dominante per l’intera domanda di mobilità. Occorre iniziare a ridimensionare in suoi impatti facendola diventare uno strumento da usare con consapevolezza: che serve quando serve.

Ma cosa succede se togliamo le auto dalle città? Quali sono i “più” che vanno a riempire quel “meno”?

Nell’organizzare Mobilitars ci siamo chiesti cosa succede se togli le auto, perchè come dici tu, se togli le auto chiaramente si crea un vuoto che deve essere colmato da qualcosa. Mobilitars è proprio un momento di riflessione in positivo articolato in 6 punti a cui abbiamo dedicato altrettanti panel che hanno il compito di evidenziare questo riempimento del vuoto.

Quali sono?

Meno auto significa innanzitutto più ambiente e di conseguenza affronteremo la questione inerente le emissioni in atmosfera e in particolare le concentrazioni di inquinanti in prossimità delle scuole, un tema a cui teniamo particolarmente. Ma anche il verde. Togliere auto dalla strada crea spazio per metterci magari degli alberi che sono il principale alleato nella lotta ai cambiamenti climatici.

C’è poi il tema energetico e quindi economico. Ridurre l’uso dell’auto significa anche risparmiare energia e quindi denaro. Realizzare infrastrutture che consentono di utilizzare dei mezzi di trasporto alternativi all’auto significa anche liberare reddito per le famiglie: denaro da spendere magari negli esercizi commerciali locali, anziché alimentare con i nostri soldi catene di forniture che a volte finanziano guerre.

Non meno importante è il tema della socialità. Meno auto significa più relazioni, più inclusione e più qualità della vita, ma anche, come dimostrano le nazioni nordeuropee, più sicurezza stradale che passa anche da alcune modifiche al codice della strada che non sono state ancora attuate.

C’è anche il tema del tempo?

Sì, meno auto significa meno congestione e quindi più tempo per attività che possano generare valore.  A meno che non pensiamo che impiegare centinaia di ore della propria vita a guardare il paraurti dell’auto incolonnata davanti a noi sia un’attività che merita di essere preservata.

Sono tutti temi che hanno a che fare con il  benessere, inteso in senso più generale. E che passa dalla riduzione di traffico, di rumore che assieme a una maggiore sicurezza e bellezza del nostro ambiente urbano, favorisce il piacere di vivere la città intesa come spazio di convivialità tra le persone.

Gli esempi in tal senso sono tantissimi, mi limito al caso di Padova dove in piazza De Gasperi un anonimo parcheggio in un’area degradata della città, è diventata una zona “urban” molto frequentata grazie a un po’ di colore, un canestro e la partecipazione al progetto dei residenti. 

Alexander Langer diceva che qualsiasi cambiamento può avverarsi solo se appare socialmente desiderabile. Gli italiani sono pronti a fare “di più con meno” auto? 

Sì, il cambiamento deve essere desiderabile e, aggiungo, anche conveniente. Altrimenti non verrà mai abbracciato dalle persone se avranno l’impressione di sentirsi più povere. Su questo terreno la battaglia non è solo sui numeri, ma anche culturale. 

In Italia c’è una fetta importante di popolazione che è abbastanza europea da questo punto di vista e che desidera il cambiamento.

Ci sono segnali di cambiamento molto evidenti: i cittadini continuano a chiedere più interventi a favore della mobilità attiva e della mobilità dolce. Un caso su tutti, per esempio, è stato quello accaduto a Milano nell’ultima tornata elettorale che si è incentrata praticamente su questa benedetta pista ciclabile che è stata realizzata su corso Buenos Aires e su cui il centrodestra ha praticamente incentrato la sua campagna. Ebbene, se andiamo a vedere i dati elettorali, nella zona su cui insiste quella ciclabile il sindaco Sala, che ha vinto le elezioni, ha preso il 4% di voti in più rispetto alla media fatta registrare in altre zone della città. 

La mobilità è un tassello fondamentale della transizione ecologica e del Pnrr italiano. Quanto si muovono le cose in questo ambito?

Il piano è inclinato è questo è già qualcosa. Certo non di molti gradi, ma noi sappiamo che anche con pochissimi gradi di inclinazione la pallina comincia comunque a muoversi. Lentamente all’inizio, ma il suo destino è acquisire velocità fino a diventare inarrestabile. 

Ecco la pallina si è messa in moto. I cambiamenti sono in atto e segnali importanti si moltiplicano e prima o poi la pallina prenderà velocità. La domanda vera a quel punto sarà: l’Italia, da un punto di vista normativo e da un punto di vista tecnico, è  abbastanza attrezzata? Saprà essere altrettanto rapida nell’implementazione legislativa e nei regolamenti attuativi?

E quale sarebbe la risposta?

Mah! Non so se la risposta è sì.

Una strada pedonale affollata a Oslo.

La mobilità come hai detto prima ha ricadute multiple sul piano anche sociale. Davvero la buona mobilità può cambiare l’architettura sociale delle città? 

È assolutamente così. Anche perché la mobilità è soprattutto una questione di accessibilità e di conseguenza puntare su una mobilità non motorizzata e quindi accessibile a tutti, a prescindere dal reddito e dalla condizione sociale, apre un tema di democratizzazione della mobilità. La buona mobilità permette a tutti un accesso a tutte le funzioni del vivere la città. Le città dei 15 minuti hanno bisogno di buona mobilità ma anche di una nuova consapevolezza: anzichè portare le persone ai servizi è il caso di portare i servizi alle persone.

Quali sono le città e i Paesi che nel mondo stanno interpretando meglio le tre “p” della mobilità sostenibile? Piedi, Pedali, Pendolari.

Su questi aspetti siamo tendenzialmente  inclini a dare sempre la palma d’oro all’Olanda e alla Danimarca. Ultimamente invece si sta riscoprendo che ci sono altri paesi che stanno andando in una direzione interessante. Paesi che sono a noi molto vicini. La Spagna, ad esempio, ha recentemente introdotto il limite di 30 chilometri orari in tutte le strade urbane di tutto il paese.

O la Francia, dove si sta lavorando più a livello locale con la grande rivoluzione di Parigi dove Anne Hidalgo ha promesso di dimezzare il numero dei parcheggi disponibili entro la fine del mandato e quindi entro il 2026. E sappiamo che Parigi fa da caposcuola per tante altre città dentro e fuori dalla Francia.

Anche in Italia si sta iniziando ad andare in quella direzione, e non solo nelle città del nord. Penso per esempio alla pedonalizzazione della Ztl di Palermo. Un caso insospettabile che però ha dimostrato che, se le cose funzionano, si possono fare.

La mobilità sostenibile comincia a muoversi anche nel sud del nostro Paese?

La differenza con le principali città del nord è ancora evidente, ma segnali promettenti vanno registrati soprattutto in tema di cicloturismo dove le istituzioni si stanno muovendo.

In Calabria la via dei Parchi è un progetto notevole e anche in Sicilia ci sono cose di rilievo. O In Basilicata dove hanno fatto l’app. Free to move che copre circa 1800 km di percorsi in bici. 

Città 30, città 15 minuti, città senz’auto, città degli spazi condivisi: qual è, se c’è, il modello di città emergente più promettente?

Difficile dire qual è il modello che si consoliderà. Di una cosa sono però convinto: la città che non sarà è la cosiddetta smart city. Quel modello è stato un abbaglio di un’epoca in cui si pensava che la tecnologia avrebbe risolto qualunque problema. Poi abbiamo scoperto che le cose non stanno così. 

In ogni caso, a guardarle bene tutte quelle città di cui parli, sono un po’ la stessa cosa. Ognuna declinata con l’accento su una vocale diversa. Tutte però hanno in comune un ingombrante veicolo di cui si vorrebbero ridurre gli impatti e la prospettiva di rimettere al centro della mobilità urbana il cittadino e la sua accessibilità. 

Qual è lo stato di salute della bikenomics, l’economia della bicicletta, nel nostro Paese?

Allora lo stato di salute della bikenomics è florido ma disordinato. Stava crescendo bene poi è arrivato lo shock del 2020 con un eccesso di domanda del prodotto a cui ha fatto seguito uno shock dell’offerta con catene di forniture interrotte e oggi aggravate dalla guerra.

La domande rimane comunque in crescita continua. Cresce il numero di operatori e l’intero settore complessivamente trainato da target di consumatori con buona capacità di spesa e con una cultura e stili di consumo sopra la media.

Inoltre a livello aziendale ormai sono entrati i grandi fondi di investimento che hanno acquisito grandi marchi per spingerli in una nuova fase. 

Parlo di LHVM su Pinarello e poi è stata la volta di Colnago, di Wilier, di Cinelli e Columbus e del gruppo Accell, tutti acquisti da fondi investimenti.

Bikeitalia è il portale verticale sulla bicicletta che dal primo giorno di nascita ha avuto una mission: trasformare l’Italia in un Paese ciclabile. Dopo 9 anni ci state riuscendo?

Come dicevo prima, il piano è inclinato e senza presunzione possiamo dire di aver fatto, insieme ad altri, la nostra parte per inclinarlo.
Oggi ormai tanti argomenti non sono più tabù. Dieci anni fa, quando parlavamo di zone 30, ci prendevano per pazzi. Oggi non voglio dire che il concetto sia passato completamente ma perlomeno è accettato. Oggi mi capita di partecipare a riunioni in cui i commercianti chiedevano ai sindaci le piste ciclabili davanti al loro negozio, o pedonalizzazioni o via il posto auto per fare spazio ai dehors.
Per non parlare del cicloturismo. Quest’anno a marzo a Milano abbiamo fatto quindicimila presenze alla prima edizione della fiera del cicloturismo ed è venuto anche un ministro.Impensabile qualche anno fa.

I consigli non richiesti spesso possono essere irritanti, ma c’è un consiglio che potrebbe essere utile per il ministro dei trasporti Giovannini che interverrà nel corso di Mobilitars? 

A Giovannini chiederei un’attenzione speciale alla questione energetica che è la questione del futuro. Perché è evidente che noi siamo su un pianeta finito con risorse finite e non si può continuare a ragionare come se non ci fossero questi “limiti dello sviluppo” per dirla con un libro che il ministro conosce bene. 
Più precisamente la cosa che suggerirei sarebbe di  inserire dei bonus, o dei criteri di compensazione, da elargire ai comuni sulla base del consumo energetico derivante dalla mobilità. Un po’ quello che avviene con la raccolta differenziata. Per iniziare a ragionare in termini di consumo energetico, procapite, della mobilità degli italiani.

Qual è il “bla bla bla” più irritante e di lungo corso mai sentito in tema di mobilità?

Il  bla bla bla più irritante è la questione delle piste ciclabili. Rispetto a dieci anni fa non c’è dubbio che la pista ciclabile sia passata da elemento negativo a elemento positivo nella narrazione corrente. Il punto vero è però è che le piste ciclabili hanno bisogno di spazio e che anche quello è finito. La strada è uno spazio finito e se ci vuoi mettere una pista ciclabile devi togliere probabilmente una fila ai parcheggi auto. Se vuoi fare piste che servono sul serio. Oggi invece si tende ancora a fare piste dove c’è spazio e non dove servono davvero, magari sui marciapiedi. Il risultato è una sorta di vigliaccheria dell’agire misto a inefficienza e sperpero di denari pubblici.

Change-Makers è il magazine digitale che racconta idee, storie, protagonisti del cambiamento. Scriviamo di cooperazione e innovazione sociale, ambientale, economica, digitale, organizzativa, etica e filosofica.
Se vuoi restare in contatto con noi iscriviti alla nostra newsletter.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Cerca nel sito