fbpx

“Culture che cambiano”. Far uscire l’arte dai luoghi tradizionali

Come cambia la cultura? In che modo le politiche culturali nazionali ed europee condizionano le pratiche messe in atto dagli attori del comparto culturale?

Sono alcune delle domande a cui hanno provato a dare risposta Elisa Fulco, curatrice d’arte e co-fondatrice del Cultural Welfare Center e Giuliana Ciancio, ricercatrice dell’Università di Anversa, manager cuturale, e ideatrice del progetto Liv.in.g, coordinate e sollecitate da Roberta Franceschelli della Fondazione Unipolis.

L’occasione è il terzo appuntamento di Cose che cambiano, ciclo di quattro incontri (qui e qui il racconto degli appuntamenti passati) promosso dalla Fondazione Unipolis in collaborazione con il DAMSLab e il Corso di Alta Formazione in Innovatori Culturali.

“Se dovessi elencare le principali trasformazioni in atto”, ha iniziato il suo intervento Elisa Fulco “menzionerei certamente la cultura che esce dai luoghi tradizionali, l’ibridazione della governance e il sostegno alla cultura attraverso i bandi. Poi c’è sicuramente il tema della partecipazione e della coprogettazione. E il tema della rappresentazione, come dare, ad esempio spazio alla disabilità.”

“Quello di una co-progettazione sempre più necessaria”, prosegue il ragionamento Giuliana Ciancio, “è un mantra che sta portando da tempo nuove idee sia top-down che bottom-up”. “Dal 2011 abbiamo assistito a cambi significativi che hanno portato in Italia meno risorse e quindi anche a un cambio di come queste risorse vengono distribuite. Con più schizofrenia ma anche con la necessità di più collaborazioni”.

Un tema centrale, in questo senso, è quello dei bandi, di come vengono finanziati i progetti e della discontinuità delle risorse che questo spesso implica.

Per Elisa Fulco, “saper scrivere un bando è un’arte” e il rischio che ne consegue è che “vincano sempre le stesse persone, quelle capaci cioè a capire la richiesta”. Ed è per questo che “il bando diventa una delle competenze che devono essere sviluppate anche all’università”. Mentre un limite riscontrato nel processo di co-progettazione è quello che porta a una limitazione del valore autoriale.
“ Sicuramente”, continua Elisa Fulco, “ è cambiato il modo in cui si pensano le organizzazioni. C’è un limite temporale legato alla durata del finanziamento e al tanto tempo necessario per curare la rete, che significa rapporti con le realtà territoriali e con le imprese”.

“Operatori culturali e artisti sono sovraccarichi di consegne, dimenticandosi spesso chi sono e qual è il loro obiettivo”, continua Giuliana Ciancio, “un problema che accomuna Italia ed Europa allo stesso modo”.

C’è poi il tema della complementarietà dei finanziamenti. Se prima, spesso, non si potevano sovrapporre più fonti di finanziamento “dopo il Covid si tende invece a renderli complementari, per ridurre la mortalità dei progetti”.

“Questo è un momento di grande sperimentazione”, continua Elisa Fulco allargando il ragionamento, “già il concetto di welfare culturale ne è un esempio. L’arte nelle carceri, l’arte negli ospedali, le collezioni spostate nei quartieri periferici ma anche le biblioteche che offrono servizi di assistenza.” Esempi di realtà intersezionali, di ibridazioni che allargano i confini sia del mondo dell’arte che del mondo sociale. Ma che presuppongono una certa capacità di ascolto. “Bisogna imparare la lingua dell’altro e spesso manca una regia capace di mettere in comunicazione ambiti diversi. La cultura è in grado di farlo? Chi lavora in questo campo deve essere disposto a contaminarsi, sottraendo ego.

Arte, benessere, salute

Il ruolo positivo della cultura e dell’arte per il miglioramento del benessere e della salute è sempre più riconosciuto, soprattutto dopo la ricerca dell’Organizzazione mondiale della sanità del 2019, da cui ne è conseguita una maggiore consapevolezza e quindi anche una maggiore progettualità. Da qui la domanda, possono esserci dei rischi quando l’arte intreccia altri fini che non siano prettamente artistici?

Per Elisa Fulco “cultura e salute non sono concetti fissi e immutabili” ma ambiti che possono influenzarsi vicendevolmente “a patto di restare in equilibrio e avere ben presente i contesti, tenendo conto di luoghi e relazioni. La cultura non può avere come fine primario la cura, ma riesce però ad ottenere inclusione e benessere.”

“Quello che mi ha mosso negli ultimi 20 anni è superare questa separatezza tra gli uomini e capire come entrare in mondi che avessero a che fare con la cultura in modo nuovo.” Da qui nascono i progetti che Elisa Fulco ha curato dentro gli ospedali psichiatrici, “un contesto in cui bisogna alzare la qualità” e dove “ho scoperto che funzionano performance e istallazioni e dove, a livello progettuale, funziona benissimo il modello dei workshop, dove vengono coinvolti tutti i soggetti in campo, pazienti, famiglie, operatori, mediatori educatori ecc.”

L’ultimo passaggio è sul tema del rapporto tra partecipazione culturale e privilegio, dove Giuliana Ciancio sottolinea come “lì dove la partecipazione è reale è in grado anche di mettere in discussione certe dinamiche, altrimenti diventa subito populismo”.

Change-Makers è il magazine digitale che racconta idee, storie, protagonisti del cambiamento. Scriviamo di cooperazione e innovazione sociale, ambientale, economica, digitale, organizzativa, etica e filosofica.
Se vuoi restare in contatto con noi iscriviti alla nostra newsletter.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Cerca nel sito