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Ho visto Zerocalcare e Giordano Bruno alle prese con eroici furori. 

Entrambi bruciavano e imprecavano.

Il primo brucia ancora, ma senza perdersi d’animo. 

Tratto da “Niente di nuovo sul fronte di Rebibbia” BAO Publishing 2021 (pag 141)

Il secondo invece urlava muto: i versi suoi.Ā 

Scritti 15 anni prima di quel 17 febbraio in cui fu arso vivo in piazza Campo de’ Fiori a Roma nel 1600.

Nessuno lo sentƬ perchƩ aveva la lingua trafitta dal chiodo ricurvo di una mordacchia che gli avevano applicato sulla bocca, affinchƩ non potesse parlare.

PerchƩ le sue parole non sapevano abiurare.

PerchƩ le sue parole facevano tremare.

ā€œMaiori forsan cum timore sententiam in me fertis quam ego accipiamā€ 
ā€œForse tremate più voi nel pronunciare contro di me questa sentenza che io nell'ascoltarlaā€.

Lo aveva detto alcuni giorni primaĀ ai suoi inquisitori.

Dopo che questi ebbero terminato la lettura della sentenza che lo condannava al rogo.

Ma io lo so cosa disse.

Perché parlava di sé evocando Icarus. 

Poi che spiegat’ho l’ali al bel desio, 

Quanto piĆŗ sott’il piĆØ l’aria mi scorgo, 

PiĆŗ le veloci penne al vento porgo, 

E spreggio il mondo, e vers’il ciel m’invio. 

NĆ© del figliuol di Dedalo il fin rio 

Fa che giĆŗ pieghi, anzi via piĆŗ risorgo. 

Ch’i’ cadrò morto a terra, ben m’accorgo, 

Ma qual vita pareggia al morir mio? 

La voce del mio cor per l’aria sento: 

– Ove mi porti, temerario? China, 

Che raro ĆØ senza duol tropp’ardimento. – 

Non temer, respond’io, l’alta ruina. 

Fendi sicur le nubi, e muor contento, 

S’il ciel sĆ­ illustre morte ne destina.

Giordano Bruno – De gli Eroici Furori (1585) Harmakis Edizioni

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