E se la vecchia normalità era un problema forse c’è una nuova normalità da inventare.
Nuove tradizioni da inaugurare: roba ben più consistente che il cambio di qualche abitudine, tipo ricordarsi di spegnere lo stand by del televisore.
Meglio partire subito allora.
Meglio cominciare a immaginare oggi.
A presentire oggi.
Perché dopo il disastro nulla potrà essere come prima.
Perché è adesso, nel buio pesto, che bisogna allenare gli occhi a scorgere qualche spiraglio di luce.
Non è catastrofismo. Non è teoria o retaggio ideologico.
E’ uno scenario plausibile che riguarda tutti.
Dalle istituzioni ai cittadini fino agli imprenditori che poi, per me, sono quelli impegnati a costruire e redistribuire valore alle comunità, mica i profeti dei viaggi nello spazio o i furbetti del green facile, della “crescita verde” su cui vi dirò prossimamente.
Fine del secolo brevissimo
L’impressione che ho io è che siamo entrati nel XXII secolo. E che il XXI secolo si è chiuso l’anno scorso.
Da quassù li vedo i secoli che si affrettano.
Secoli che hanno perso la capacità di distendersi sul lungo periodo e che si stanno rattrappendo.
Siamo entrati nell’era dei “secoli impazienti”.
Pensateci.
XIX secolo: lunghissimo. Iniziò con la Rivoluzione francese del 1789 e si chiuse con la fine della Belle Époque.
XX secolo: breve. Dalle trincee della prima guerra mondiale nasce quello che Eric Hobsbawm ha definito Secolo Breve, l’era dei grandi cataclismi: dal 1914 al crollo dell’Unione Sovietica nel 1991.
E da lì che parte il XXI secolo: brevissimo. Un secolo dove Harari si è preoccupato di fornirci già le sue ottime 21 lezioni.
Un secolo che però finisce l’11 marzo 2020 giorno in cui il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus annuncia che la diffusione del Covid-19 è una pandemia mondiale.
Il XXII secolo è il Momentum.
Adesso io non so quanto durerà questo XXII secolo appena iniziato e in tutta sincerità non credo sia così importante saperlo.
Durerà 10 anni? É la dead line dell’Agenda Onu 2030.
Durerà 30 anni? É la dead line europea per la neutralità climatica.
Non ne ho idea, ma so che questo momento storico può diventare momentum: punto di svolta e di rilancio.
Nuovo inizio.
Per le persone, per le imprese, le istituzioni, il mondo.
Reset e riavvio.
Per le emozioni
Paura e empatia
Tu mi dirai? Ma come fai a dirlo? A saperlo?
Lo so perché sono Icarus e mi piace svolazzare. Perché non sono del vostro mondo, perché sono in caduta libera e “posso immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace”.
Lo so perché un fremito mi fa vibrare le ali.
Un fremito che mi fa venir voglia di indagare le tonalità emotive dei sapiens di oggi.
Perché, è anche su quel piano, e non solo su quello economico, che si sono verificati disequilibri che condizioneranno la vita e i processi decisionali delle persone nei mesi e anni a venire: nei consumi, nelle relazioni, nei movimenti, fino alla stessa percezione di sé.
I marcatori somatici coinvolti mi sembrano due.
La paura innanzitutto (e il conseguente senso di insicurezza) e l’empatia atrofizzata dal distanziamento fisico.
Un fatto questo, che non si compensa con la crescita delle interazioni digitali dove siamo agli inizi e non possiamo che migliorare (?).
Questa doppia azione congiunta – di aumento di paura e insicurezza sommata alla riduzione dell’empatia – può avere impatti devastanti in quanto ingracilisce il capitale sociale di cui si nutre ogni comunità e quelle a vocazione cooperante in particolare.
Che cosa ci aspetta lo vedremo. Basta vivere per chi può. Sopravvivere per gli altri.
In arrivo ulteriori svolazzi per un Mo(n)do nuovo.