Gigacapitalisti ma microempatici. Intervista a Riccardo Staglianò
La settimana scorsa, nell’ambito del Festival di Pandora, si è tenuto un incontro dal titolo Gigacapitalisti: democrazia e Big Tech, organizzato in collaborazione con la Biennale Tecnologia e questo Magazine.
Moderati dal nostro direttore Piero Ingrosso, sono intervenuti Francesca Bria, Juan Carlos De Martin e Riccardo Staglianò autore del libro Gigacapitalisti edito da Einaudi.
Lo abbiamo intervistato.
Staglianò, chi sono i gigacapitalisti? Solo quelli della Silicon Valley o anche gli oligarchi russi? Ci sono delle differenze?
Sì, ci sono delle differenze perché i russi hanno avuto le loro aziende dallo Stato mentre gli altri se le sono create. Detto questo, va aggiunto che ci sono anche delle somiglianze, che provo a segnalare in questo piccolo libro.
Vediamole queste somiglianze…
Questi signori, perlopiù americani – per intenderci, Elon Musk, Jeff Bezos, Bill Gates e altri in maniera meno approfondita – sono a parole degli strenui oppositori dello Stato: lo Stato gli fa schifo, soprattutto quando gli chiede di pagare le tasse. Loro sono tutti campioni olimpionici di elusione fiscale, a cui però lo Stato non fa più schifo quando elargisce loro aiuti non indifferenti. Questa è un po’ la piccola scoperta che rivendico con questo libro.
Può farci degli esempi?
Ne farò tre: Elon Musk ad esempio è uno che nel primo trimestre del 2021 con 533 milioni di dollari di utili nel solo primo trimestre, ha ricevuto 518 milioni di aiuti statali in forma di crediti verdi che lo Stato della California dà a chi fa produzioni non inquinanti come la sua Tesla.
E ha pagato una qualche carbon tax per i suoi viaggi nello spazio?
Certo che no. Ed è la prova di come la storia di queste persone sia lastricata di contraddizioni. Da una parte la presunta passione ambientalista e dall’altra emissioni imbarazzanti con i viaggi spaziali o quelli quotidiani: ha fatto abbastanza scalpore il fatto che Musk una decina di giorni fa, per fare un tratto della Silicon Valley che gli avrebbe preso meno di mezz’ora di metropolitana, abbia preso un elicottero, producendo una quantità abnorme di CO2 che nell’altro caso sarebbe stata praticamente zero.
E gli altri esempi?
Il secondo esempio riguarda Jeff Bezos. Nel 1992 quando il web è ancora ai primi vagiti, un’azienda che si chiama Quill che è un po’ la Buffetti americana fiuta l’affare della vendita on line, perché chi non aveva un nesso fisico riconducibile a uno Stato, era dispensato dal pagare l’IVA e risparmiare pertanto circa il 10% con un vantaggio competitivo importante sulla concorrenza. Nel 1994 quando nasce, Amazon sfrutta questo meccanismo e diventa il grande beneficiario di uno sconto di Stato che gli ha permesso, per quasi 15 anni, di non pagare le tasse sulle vendite e di costruire il suo impero.
Il terzo, non da meno dei primi due, riguarda Facebook e quindi Mark Zuckerberg e qui il punto di partenza è una legge del 1996 il Communications Decency Act pensata per proteggere i bambini dal porno, che ha sancito la regole per la quale i proprietari delle piattaforme non sono responsabili dei contenuti postati dagli utenti; di fatto trattando Facebook come un operatore telefonico e non come un editore che ha un direttore responsabile dei contenuti, specialmente se fortemente diffamatori.
Tutto questo per dire che i gigacapitalisti americani non sono uguali agli oligarchi russi ma come loro si sono avvantaggiati con sostanziosi aiuti di Stato.
Con questo non voglio dire che la loro fortuna sia tutta lì e che non si tratti di imprenditori fenomenali, capaci di cambiare l’infrastruttura della vita in cui viviamo. Il libro semplicemente cerca di decostruire alcune contraddizioni.
Se i gigacapitalisti sono così fenomenali tanto da contare più degli Stati, forse gli Stati hanno imboccato la via dell’irrilevanza?
Il fatto che salta agli occhi è che i gigacapitalisti lavorano sulle decadi, mentre gli Stati giocano di rimessa e tattica cercando di metterci delle toppe.
Forse irrilevanza è una parola grossa, ma è un fatto che queste aziende di fatto valgono da sole più di molti Stati. Parliamo di aziende che appartengono al One Trillion Dollar Club ovvero hanno una capitalizzazione di mille miliardi di dollari. Apple che è stata la prima a varcare quella soglia oggi ne vale quasi tre di Trilioni e supera il Pil della Gran Bretagna o dell’Italia che vale circa un Trilione e otto.
Gli Stati più che irrilevanti mi sembrano spuntati. È come se collettivamente avessero detto “vabbè, questo è un mondo nuovo, lasciamoli correre. A un certo punto interverremo”. Però ormai è passato quasi un quarto di secolo da quando questo fenomeno è iniziato.
Ma c’è qualche tentativo di porre un freno a tale gigantismo vero?
Sì, l’Europa qualche sostanziosa multa l’ha comminata e qualcosa sta facendo anche adesso, ma la novità vera e recente arriva dagli Stati Uniti, che fino a oggi hanno sempre lasciato correre. Lì Joe Biden ha fatto una nomina molto importante, mettendo a capo dell’Antitrust della Federal Trade Commission Lina Khan, una ricercatrice molto giovane, molto gagliarda e competente, che sa anche come la dottrina dell’Antitrust deve aggiornarsi per essere incisiva nei confronti di questo fenomeno. É un piccolo motivo di ottimismo che ci fa sperare sul fatto che gli Stati non abbiano rinunciato a essere ancora rilevanti.
Quindi solo nuova e vincolante dottrina giuridica?
No, c’è anche una cosa molto antica, ovvero le tasse. Tutte queste aziende sono, come dicevo prima, oltraggiosamente brave a non pagare le tasse o trovare meccanismi per minimizzarle.
C’è un’inchiesta di ProPublica, sito che vinto diversi Pulitzer, che rileva come Jeff Bezos fino al 2008, quando era ormai ricco come Creso, aveva continuato a pagare zero dollari di tasse sul suo reddito personale grazie a una serie di magheggi legali ma osceni.
E nel 2018, quindi ieri, Musk era nella stessa posizione e oggi è la persona più ricca del mondo.
Ma attenzione non si tratta solo di pagare le tasse come fanno i più ma di pagarle di più: in senso progressivo, come ad esempio sancito dall’articolo 53 della nostra Costituzione.
Quindi tasse e naturalmente rivedere la normativa antitrust, come sta facendo la Khan negli Stati Uniti.
Nel racconto di Pessoa Il banchiere anarchico, il protagonista argomenta che la sua fede anarchica è proprio la stessa di quella sbandierata da operai e rivoluzionari. Con i gigacapitalisti sembra esserci analogo storytelling, magari sui temi del mondo migliore, della felicità, della connessione tra le genti, ecc. Che ne pensa?
È proprio così. Questa schiatta di capitalisti ha la presunzione, dal mio punto di vista insopportabile, di vendersi come il capitalismo dal volto umano. Dicendo: “quelli di prima erano brutti e cattivi e pure sporchi di petrolio”. Era facile additare i “baroni di rapina” come capitalisti “estrattivi”, ma loro non sono da meno: estraggono dati e non condizionano solo gli Stati Uniti come facevano i primi, ma il mondo intero.
C’è un quantità spropositata di retorica nella loro narrazione, come del resto è accaduto con la sharing economy che in realtà era economia della disperazione, quella dei lavoretti.
La Silicon Valley prima di essere un ecosistema imprenditoriale è un’agenzia culturale che veicola un messaggio falso, ovvero che loro non sono lì per fare soldi ma per rendere il mondo un posto migliore.
Quanto lavorano questi signori e quanto vivono? Che idea di vita hanno? Alcuni sono fanatici del transumanesimo e altri cercano nei viaggi spaziali l’exit strategy da un terra ridotta a “bad company”. Insomma che tonalità emotive li caratterizza? Egoismo, potere, avidità…
C’è un grossa parte del libro che affronta anche il loro sistema operativo psichico. La quasi totalità di queste persone è stata toccata – e lo dico senza essere esperto della materia – da qualche disturbo dello spettro autistico.
Sono perlopiù persone rivolte verso i pianeti esterni, così poco in sintonia con i bisogni su questa terra. Questa cosa è stata illustrata in maniera inarrivabile da Jeff Bezos quando ha fatto il suo giretto nello spazio, che è costato oltre 5 miliardi di dollari per 4 minuti in aria. In quella circostanza ha voluto ringraziare i clienti e i lavoratori di Amazon! Incredibile faccia tosta: se proprio vuoi ringraziarli basta pagarli meglio. È gente sostanzialmente anaffettiva, poco empatica e quasi robotica, se vediamo quelli con più retroterra nerd come Zuckerberg.
In altre parole sembrano tutti troppo impegnati a occuparsi dei piani B del pianeta terra per preoccuparsi del piano A.
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